VIDEO-FLASH! - L’ARRIVO DI CECILIA SALA NELLA SUA CASA A ROMA. IN AUTO INSIEME AL COMPAGNO, DANIELE…
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
«Angelo, scendi che ci sono i terroristi». Il signor Vitello ha interrotto il pisolino pomeridiano e ha guardato fuori dalla finestra al pianterreno. «Ma no» ha detto alla moglie preoccupata. «Quelli con il cappuccio nero sono i buoni».
E si è rimesso a dormire. Il giorno dopo in rue des Quatre-Vents ci sono bambini che raccolgono da terra i frammenti bianchi degli infissi andati in frantumi durante l' irruzione e anziani residenti come l' operaio in pensione Angelo, immigrato siciliano che vive in questa via dal 1981, disponibili a raccontare di quando Molenbeek era davvero multietnica e ci si sorprendeva ancora quando arrivava la Polizia.
La storia è passata da queste strade senza fermarsi. «Non cambierà nulla» dice il nostro compatriota. «Ed è un peccato». Il comune nella regione di Bruxelles divenuto l' insegna luminosa della fabbrica dei jihadisti, come racconta sconfortata la borgomastro Francoise Schepmans, è ormai prossimo a diventare soltanto un elemento di decoro di una recita che si svolge altrove. Quello che conta è ormai la versione di Salah Abdeslam, il figlio di Molenbeek catturato venerdì pomeriggio, l' uomo che forse non può spiegare la genesi della strage di venerdì 13 novembre, ma certo ne ha oliato gli ingranaggi.
«Il 13 novembre ero a Parigi, ho preso parte agli attacchi». La prima mossa è quasi un atto dovuto, imposto dal legale che la madre e il fratello maggiore Mohamed, impiegato all' anagrafe del Comune, in malattia da due mesi per ovvie ragioni diplomatiche, gli hanno trovato poche ore dopo il suo arresto. Sven Mary è un volpone mediatico, un avvocato capace di passare dalla difesa dei presunti terroristi a quella di Jean Paul Belmondo, purché se ne parli. Ma questa volta è stato lui a porre una condizione, consapevole della delicatezza della pratica.
«Deve collaborare con la giustizia belga, altrimenti niente» racconta il penalista. «Non deve contestare l'incontestabile, e non lo sta facendo. Questo rende tutto molto interessante». Qualche esca è già stata gettata. «Mi sarei dovuto far esplodere allo Stade de France» ha raccontato ieri pomeriggio durante il suo primo incontro con il giudice istruttore, che gli ha notificato le accuse di strage e partecipazione alle attività di un gruppo terrorista. «Ma quando sono arrivato sul posto ho fatto marcia indietro». È un boccone ghiotto, per chi deve ricostruire la storia di quella strage, certo non sarà l' unico.
Paura, allora come oggi. Abdeslam non è uno stratega, e neppure un jihadista fanatico. Non si è mai levato di dosso l' etichetta di «petit voyou», piccolo delinquente, che lo accompagna da sempre. La sua disperata corsa in strada, che gli è valsa una pallottola nel polpaccio destro, era dovuta alla diffidenza ancestrale nei confronti dei poliziotti. Era convinto che lo volessero uccidere, temeva la loro vendetta. «È per questo che non voglio tornare in Francia. A Parigi mi odiano».
Abdeslam parlerà. Ma solo a patto di restare in Belgio, di venire giudicato a Bruxelles. Un baratto, notizie in cambio di un improbabile no all' estradizione. La strategia appare chiara, così come lo smarrimento dell' ex latitante più ricercato d' Europa, apparso provato a livello mentale da una latitanza trascorsa praticamente a casa sua. «Non mi sono mai allontanato» ha detto.
Ha trascorso «almeno» le ultime quattro settimane nel covo al numero 60 di rue du Dries, a Forest. Lui, Amin Choukri, ricercato in qualità di suo fiancheggiatore, e Mohamed Belkali, uno dei coordinatori degli attacchi parigini, che verrà ucciso durante l' irruzione di martedì scorso. Una casa senza luce ed elettricità, dove i suoi complici si alternavano ogni giorno per scendere a fare la spesa. L'unico esentato dalla corvèe era Abdeslam, troppo conosciuto e riconoscibile.
Quando tutto viene giù, privati di ogni arma e risorsa, i due fuggitivi seguono l' istinto. Molenbeek è casa loro. L'unico e l' ultimo nascondiglio possibile. Il tentativo di contattare Mohamed Abdeslam va a vuoto. Chiamano Abid Aberkan. Giovedì scorso ha partecipato al funerale di Brahim, il fratello kamikaze di Salah. Gli chiedono di trovargli un rifugio. L' amico d' infanzia non rifiuta, conosce la legge della strada. Li porta al 79 di rue des Quatre-Vents. A casa della mamma. Sono terroristi e complici di terroristi. Ma non sono certo dei geni.
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