DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
Il più straordinario spot commerciale (negativo) al quale un'azienda può essere esposta: l'altro giorno, durante un hearing al Congresso trasmesso in diretta tv, il senatore repubblicano Tom Cotton ha chiesto ai capi dei servizi segreti e di quelli investigativi americani (Cia, Fbi, Nsa e National Intelligence) se qualcuno di loro ha mai pensato di usare o di suggerire a qualche americano di acquistare un telefonino (o altro strumento tecnologico) della Huawei o della ZTE. Nessuno ha alzato la mano.
Non solo un invito agli americani a non acquistare i prodotti di questi due ditte: il capo dell' Fbi, Chris Wray, è andato molto più in là affermando che i due giganti digitali cinesi hanno rapporti molto stretti col governo di Pechino.
E ha aggiunto che le aziende di telecomunicazioni, ma anche i cinesi inseriti nel mondo accademico Usa, studenti e professori, vengono usati dal regime di Xi Jinping per sottrarre segreti e tecnologia americana. Con l'obiettivo «di usurpare il ruolo degli Stati Uniti come potenza dominante del Pianeta», come ha detto anche il capo della National Intelligence (il coordinamento dei servizi segreti), Dan Coats che ha spalleggiato Wray, rincarando addirittura la dose.
Nonostante un recente viaggio di Trump a Pechino e il dialogo mai interrotto tra i leader delle due potenze, le relazioni tra Cina e Stati Uniti sono in caduta libera da mesi con Washington che considera il gigante asiatico il mandante di gravi episodi di spionaggio industriale e di attacchi cibernetici. Già un mese fa, l'8 gennaio, l'accordo del leader Usa della telefonia, l'AT&T, per vendere in America il Mate 10 Pro, la risposta di Huawei, terzo produttore mondiale di cellulari, agli iPhone 8 e X, saltò all' improvviso, alla vigilia dell' annuncio.
Aziende cinesi sotto choc: lo stop fu provocato da una lettera inviata da alcuni leader di Camera e Senato alla FCC, l'authority federale delle comunicazioni, per chiedere di frenare la diffusione di prodotti attraverso i quali potrebbero passare azioni di spionaggi cinesi in America. Da allora Huawei ha iniziato una campagna per cercare di convincere governo e opinione pubblica Usa che loro sono una società commerciale come tante altre, non una centrale di spionaggio: «Operiamo in 170 Paesi e nessuno sospetta di noi».
Ma negli Usa è diverso: l'America si sente sotto attacco e il capo dell'Fbi due giorni fa ha ampliato la platea dei sospettati di essere protagonisti o complici di una sistematica sottrazione di tecnologia: non solo le imprese di telecomunicazione, ma anche tutte quelle che hanno stretto joint venture con società americane e, addirittura, il mondo accademico.
I parlamentari che hanno chiesto al capo dei «federali» se sospetta di docenti o studenti di computer science si sono sentiti rispondere che azioni per aiutare la Cina a scavalcare gli Usa come superpotenza vengono attuate nelle università grandi e piccole e in tutte le discipline accademiche. Se non una criminalizzazione generalizzata, il mantello del sospetto è stato gettato su tutti i 329 mila studenti cinesi che frequentano gli atenei americani e su migliaia di professori. Wrey ha fatto notare che il numero di questi studenti è quintuplicato negli ultimi 10 anni e che le università, affamate di dollari, li accolgono a braccia aperte.
Anche perché i cinesi, in genere, pagano la retta intera senza chiedere sconti né borse di studio. Il governo di Pechino cerca di sdrammatizzare: «Siete e resterete leader, non dovete temerci. Non avete motivo di sentirvi insicuri e, comunque, la sicurezza assoluta non esiste». Ma difficilmente la morsa del diffidenza si allenterà, tanto più che stavolta anche i democratici, pur con reazioni meno aggressive, condividono i timori di Trump e dei repubblicani.
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