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Boni Castellane per “la Verità”
Il grottesco zelo di Beppe Sala e Gianni Riotta ci spinge a fare l'esatto opposto: riflettere. Di fronte a una guerra, con tutto il carico di morte e distruzione, non è concesso agli esseri umani pensanti di accodarsi alle narrazioni che da entrambe le parti stiamo sentendo. Quella del «Putin pazzo» serve a chiudere i discorsi, ma non a capire cosa accade. In questi giorni il filosofo Alexander Dugin, uno dei principali intellettuali russi, ha fatto una sorta di rassegna delle motivazioni russe dietro questo intervento.
La prima cosa che notiamo è che il riferimento alla «motivazione ufficiale», e cioè la difesa dei russi del Donbass, non viene particolarmente sottolineata. Al contrario Dugin afferma che la vera motivazione consiste in una «contrapposizione con il globalismo come fenomeno esteso». Visto che la «élite liberale atlantista» ha imposto in tutta Europa dei governi pronti al Grande Reset, la Russia ne spezza l'avamposto orientale, contrastandone così il piano generale.
Anche Putin, che si dice ascolti Dugin, nel discorso che annunciava l'inizio della guerra ha fatto spesso riferimento alle «minacce alla Russia» non soltanto in termini meramente militari. Un secondo elemento consiste nel riferimento che Dugin fa all'«esclusione della Russia dalle reti globaliste», cioè la lettura delle sanzioni come di un'occasione per creare la Grande Asia, idea tipica della dottrina duginiana, vista come una sorta di arca russa separata e indipendente dal mondo influenzato dall'atlantismo.
Pare dunque che la saldatura con la Cina e con l'India non solo non sia momentanea ma sia stata pianificata come obiettivo. Su questo gli analisti hanno visioni differenti: se la Russia può senza dubbio vendere gas alla Cina, la Cina non può limitarsi a vendere manufatti alla Russia. Più complessi i risvolti inerenti gli assetti valutari internazionali: si affaccia un nuovo Gold standard russo-cinese in chiave di contrasto al dollaro?
Il terzo, e più profondo, elemento di interesse avanzato dalle considerazioni di Dugin consiste nella presa di distanza dall'idea di «guerra ai valori dell'Occidente». Per secoli la cultura russa si è pensata in contrapposizione all'Occidente: anche la parentesi sovietica si è nutrita di quest' idea. Dugin fa una netta torsione affermando che «l'Occidente non è più quello della cultura mediterranea romano-greca, né il Medioevo cristiano e nemmeno il Ventesimo secolo violento e contraddittorio. L'Occidente ha tagliato le proprie radici ed oggi rappresenta l'anti-civilizzazione».
Seguendo questa idea Dugin arriva a dire che «anche gli Stati Uniti devono seguire coloro che rifiutano il globalismo», ipotizzando una spaccatura orizzontale tra élite globaliste che detengono il potere e popoli che, nella lettura di Dugin, le subiscono senza averle democraticamente investite. Il riferimento ai «valori d'Occidente» però non scende nel dettaglio.
Ma al di là delle inconciliabilità già evidenziate nel dibattito tra Dugin e Bernard Henri-Levy tenutosi nel 2019, l'elemento di maggior interesse sta proprio nel fatto che un pensatore così radicalmente russo usi l'argomento della dissoluzione dei valori occidentali per fare appello al loro recupero.
La parte più debole delle considerazioni consiste nell'attribuire sbrigativamente all'invasione dell'Ucraina la funzione di necessario momento di costruzione di questo nuovo mondo panasiatico. Tuttavia questo pensiero, nazionalistico e unilaterale, insinua un interrogativo che ci mette a disagio: la libertà, il valore più sacro e fondante dell'Occidente, alla luce di ciò che è successo negli ultimi due anni, è ancora un fondamento o è diventata una funzione del «nuovo mondo»?
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