COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Sandro Iacometti per “Libero quotidiano”
Nell'agosto del 2012, pochi giorni dopo il primo sequestro da parte dei magistrati degli altoforni dell'Ilva, il papà del piccolo Lorenzo Zaratta era salito sul palco di una manifestazione contro l'inquinamento provocato dall'acciaieria di taranto mostrando le foto del figlio intubato dopo aver contratto un tumore al cervello a soli tre mesi di età.
incendio all'ilva di taranto 5
Due anni dopo, Lorenzo, a 5 anni, ha smesso di vivere. Ed è diventato il simbolo più drammatico, tragico e commovente dei presunti scempi ambientali compiuti dalla famiglia Riva con il complesso siderurgico. La mamma di Lorenzo lavorava, infatti, vicino all'Ilva ed era convinta che le emissioni nocive della fabbrica che aveva inalato fossero poi state trasmesse al feto. Ed è su queste basi che è stata avviata la causa nei confronti degli allora dirigenti dell'Ilva con l'accusa di omicidio colposo.
Ebbene, a metà dello scorso luglio il gup di Taranto ha assolto Angelo Cavallo, dirigente della fabbrica, che aveva chiesto il rito abbreviato, e per il quale il pm Mariano Buccoliero aveva chiesto la condanna a 2 anni e 4 mesi e ha inoltre annullato il processo per gli altri otto imputati che avevano optato per il rito ordinario. Si tratta di Capogrosso, direttore dello stabilimento Ilva fino al 3 luglio 2012 e degli ex responsabili dell'Area Parchi Minerali, Quaranta e Adelmi, del capo dell'Area Cokerie, Di Maggio, del responsabile dell'Area Altiforni, De Felice, dei capi delle due Acciaierie, D'Alò e Valentino, e di Perrelli, all'epoca responsabile dell'area Gestione Rottami Ferrosi.
A poche settimane di distanza sono arrivate anche le motivazioni.
«Permane», si legge nella sentenza, «un'insuperabile situazione di ragionevole dubbio circa l'effettiva sussistenza del nesso causale fra la presunta condotta ascritta agli imputati e il decesso del piccolo Lorenzo». La letteratura medica, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non consente, infatti, «di affermare la sussistenza di una "correlazione causale" tra inquinamento ambientale-atmosferico e tumori del sistema nervoso centrale e segnatamente dell'astrocitoma», la patologia, questa, che ha causato il decesso del bambino di Taranto.
Questa frase, che avrà fatto giustamente ribollire il sangue dei genitori del povero Lorenzo, è purtroppo il sigillo finale del clamoroso corto circuito giudiziario che da 10 anni tiene l'Ilva in ostaggio della magistratura. Poco più di un anno fa, infatti, la procura di Taranto ha emesso condanne pesantissime (fino a 22 anni) nei confronti degli ex manager, tra cui Fabio e Nicola Riva, al termine del processo ambiente svenduto, per accuse che vanno dal disastro ambientale all'omicidio colposo. Alle pene si sono aggiunti anche la confisca dell'area a caldo e la conferma del sequestro degli impianti, che hanno di fatto impedito che Invitalia completasse il percorso di acquisizione del 60% della nuova Acciaierie Italia, a cui sono legati anche i processi di bonifica ambientale.
La sentenza, di cui dopo un anno ancora non sono state scritte le motivazioni (e forse ora si capisce perché) era già in conflitto con quella di Milano, che, assolvendo Fabio Riva dall'accusa di bancarotta, aveva riconosciuto l'efficacia degli interventi in materia ambientale. Ora, nel primo processo per i danni reali provocati dalle emissioni, si scopre che è impossibile stabilire un rapporto di causa ed effetto tra inquinamento e malattie tumorali. Quante altre sentenze dovremo aspettare prima che si faccia chiarezza di un decennio di scorribande giudiziarie che hanno fatto perdere al Paese decine di miliardi?
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