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Estratto dell'articolo di Alessandro Di Profio per “Il Venerdì – La Repubblica”
A queste orfane spesso invalide e sfigurate che dobbiamo essere grati per la composizione classica più famosa al mondo: “Le quattro stagioni”. La scrittrice britannica Harriet Constable non ha il minimo dubbio. E lo scrive nero su bianco. Nel suo romanzo L'orfana di Venezia, pubblicato in Italia da Piemme e in arrivo in altri sedici Paesi, Vivaldi è presentato come un predatore.
Le prime a farne le spese, tanto sessualmente quanto artisticamente, sarebbero state le allieve di Santa Maria della Pietà, uno dei quattro "ospedali" veneziani: si trattava in realtà di orfanotrofi per famiglie poverissime, dove le fanciulle più dotate erano destinate alla musica («figlie del coro») e le altre ai lavori domestici («figlie del comun»).
Una delle orfane è elevata a rango di protagonista da Constable: la violinista Anna Maria, che per la scrittrice fu inconfutabilmente l'autrice segreta di tante pagine di successo del Prete rosso, suo maestro. «Opera di fantasia» mette le mani avanti l'editore, pur giocando abilmente sull'ambiguità tra fonti storiche e licenze letterarie. E la tesi della giovane putta sfruttata dal compositore maschio senza scrupoli è stata presa molto sul serio dai giornali anglo-americani, dal Guardian al New York Times, che hanno recensito entusiasticamente il romanzo.
ORFANA DI VENEZIA - Harriet Constable
[...] Agli studiosi, la storia di Anna Maria è nota da tempo. Abbandonata alla Pietà nel 1696 dalla madre prostituta, visse ottantasei anni tra le mura dell'ospedale veneziano, un po' convento e un po' conservatorio, in cui le sue doti le permisero di accedere rapidamente alla casta delle «figlie del coro». La Constable modella la biografia della violinista di successo alle esigenze di una narrazione da bestseller, studiata a tavolino. La scrittura avanza impavida tra scivoloni e approssimazioni, triturando tutto quello che incontra. Non sa resistere alla tentazione d'immaginare nel 1710 un concerto a casa di Casanova: che il focoso scrittore-avventuriero non fosse ancora nato parrebbe un dettaglio.
E perché poi non mettere in prima fila, tra gli ammiratori di Vivaldi, personaggi noti come Caterina I di Russia, Corelli o ancora Rousseau? Sfortunatamente per la scrittrice, la zarina e il compositore romano di adozione non misero mai piede a Venezia, mentre il filosofo ginevrino ci andrà sì, ma una trentina di anni dopo. E a un lettore mediamente attento non sfuggiranno altre forzature. Ad esempio, non c'erano ancora fortepiani nella Serenissima nei primissimi del Settecento: la nuova invenzione di Cristofori (il «gravicembalo col piano e col forte») si sarebbe imposta solo sul finire del secolo. Le ragazze del coro beneficiavano inoltre di uno statuto a parte: per loro, dieta ricca e nessuna incombenza.
Quindi, i calli e le vesciche che Constable fantastica sulle mani di Anna Maria parrebbero destinati solo a commuovere. Così come il marchio P stampato sulle braccine dei neonati arrivati alla Pietà: per gli storici si tratta di una pratica inconsueta e comunque riservata solo alle bambine già grandicelle. Tanti, troppi arbìtri che fanno vacillare l'intero edificio.
[...]
Tra una prova e l'altra di Così fan tutte con la regia di Mario Martone, il direttore livornese dettaglia al Venerdì il suo punto di vista. «Constable avrebbe dovuto leggere il volume di Pier Giuseppe Gillio (L'attività musicale negli ospedali di Venezia nel Settecento, Olschki): circa 600 pagine che le avrebbero evitato una serie di brutte figure. Invece, abbiamo l'ennesima disinformazione, un'opera piena di stereotipi con un Settecento fasullo come per il recentissimo film Gloria! di Margherita Vicario: una zuppa di anacronismi».
Però, anche Alexandre Dumas si prende qualche libertà: perché non concedere a uno scrittore una certa disinvoltura con la storia? «L'aderenza ai fatti è la base di un romanzo storico. Poi, si può introdurre un collante, frutto dell'invenzione: le vicende di un personaggio, i suoi amori, i dialoghi... È un equilibrio difficile, ma necessario. Altrimenti, perché non scrivere direttamente fantascienza?».
In Lucietta, Sardelli alterna, non a caso, «fatti documentati» e «fatti immaginati»: un totale di ventinove capitoli seguiti da una nota sulle fonti. Insomma, non bara con il lettore che ha tutte le carte in mano per distinguere tra veridicità e finzione.
A differenza di Anna Maria, Lucietta non fa la vittima. Perché, per Sardelli, mai e poi mai Vivaldi avrebbe potuto scopiazzare i lavori delle sue allieve. «Le fonti sono chiarissime: solo le organiste avevano qualche nozione di armonia e contrappunto. Tutte le altre suonavano e basta (spesso più di uno strumento): la composizione non era proprio prevista dal piano di studi. Nessuna sarebbe mai stata in grado di scrivere musica al posto di un Vivaldi o di un Gasparini. Quando un maestro di coro era indisponibile veniva sostituito da un altro. Invece, due figlie erano copiste: un'attività ingrata, svolta spesso di notte grazie a fioche lampade a olio». [...]
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