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"BAMBOLINA ELENA" È STATA SGOZZATA DA UN PREDATORE SERIALE - GABRIEL FALLONI, CLIENTE STUPRATORE CON PRECEDENTI, È ACCUSATO DI AVER UCCISO CON UNA TERRIFICANTE COLTELLATA ELENA RALUCA SERBAN, LA 32ENNE ROMENA CHE SI PROSTITUIVA AD AOSTA - L'UOMO, 36 ANNI, AVEVA PORTATO VIA IL TELEFONINO E ANCHE IL TABLET DELLA DONNA, COME SE DOVESSE NASCONDERE DELLE TRACCE - NEL 2014 ERA STATO CONDANNATO PER TENTATA VIOLENZA SESSUALE, MA…
Niccolò Zancan per "La Stampa"
«Bambolina Elena, molto dolce e paziente, fisico mozzafiato. Ti aspetta a Aosta. Comodo parcheggio zona Ovs». Elena Raluca Serban aveva 32 anni e si prostituiva. Girava le città, viaggiava in Europa. Era stata a Londra, Zurigo, Milano.
Prendeva un appartamento e metteva l'annuncio, riceveva i clienti, poi cambiava indirizzo. Era arrivata da tre settimane a lavorare in una casa di Viale Partigiani, nella prima periferia di Aosta, quando è stata ammazzata. Una sola coltellata alla gola, sferrata alle spalle. Sabato 17 aprile, nel tardo pomeriggio.
Ieri sera i poliziotti della squadra mobile hanno arrestato un uomo italiano di 36 anni, che lei aveva fatto entrare nel suo appartamento. Un uomo con precedenti penali per stupro e rapina. Già condannato per violenze contro altre prostituite. Si chiama Gabriel Falloni, ieri notte è stato portato in carcere come «gravemente indiziato».
L'accusa nei suoi confronti è: «Omicidio volontario aggravato dalla crudeltà». Abitava a Aosta, ma stava cercando di scappare da Genova, verso la Sardegna. Proprio a Sassari - è originario di Sorso - c'è l'ultimo precedente a suo carico: aveva tentato di violentare una ragazza adescata su Facebook con la promessa di un posto di lavoro.
Durante quel processo del 2014 erano emerse altre due denunce antecedenti: due prostitute romane erano state picchiate e rapinate dopo un rapporto sessuale. E per questo, Gabriel Falloni era stato condannato a 4 anni di reclusione. In gergo: un predatore seriale. Una persona conosciuta dalle forze dell'ordine. Ecco perché le indagini sul delitto di Aosta hanno preso subito una direzione precisa.
Dopo la stazione ferroviaria, ma prima dell'Ovs: ecco l'appartamento del delitto. Sono 40 metri quadrati: ingresso, cucinino, la stanza con il letto matrimoniale, il bagno. È al primo piano di un palazzo popolare sul cui portone di ingresso, da qualche giorno, campeggia un cartello: «In questo condominio sono arrivate delle persone incivili e maleducate. Tutte le mattine buttano dalle finestre fazzoletti di carta usati. È ora di smettere!».
Al primo piano c'è la porta con i sigilli della polizia. Al secondo vive il signor Gioacchino Mattina, che ha fornito agli investigatori una notizia importante. «Sabato sono sceso per andare in cantina. Saranno state le 11. La ragazza stava entrando nel portoncino. L'ho salutata e lei ha ricambiato con un cenno, era una bellissima donna e non passava inosservata. La vedevamo entrare e uscire, ma niente altro. Abitava nel palazzo da pochissimi giorni».
Elena Raluca Serban era viva alle 11 di sabato. È stata trovata morta alle 8 di domenica dai vigili del fuoco che hanno sfondato la porta. Erano stati chiamati dalla sorella Alexandra Serban, che non avendo notizie si era immediatamente allarmata. Al punto da mettersi in viaggio da Lucca a Aosta per venire a cercare sua sorella.
«Il telefono di Elena squillava a vuoto, mandavo messaggi su WhatsApp che lei nemmeno leggeva, era un comportamento troppo strano». Forse sapeva che la sorella era in pericolo. Di sicuro è partita per andare in suo soccorso.
Gli investigatori, coordinati dal pm Luca Ceccanti e dal commissario capo Francesco Filograno, seguivano una pista precisa fin dall'inizio. L'assassino aveva portato via il telefonino e anche il tablet di Elena Raluca Serbana, come se dovesse nascondere delle tracce. Forse non era il loro primo incontro.
Aveva cercato di ripulire sommariamente la scena. Ma la ragazza era riversa sul tappetino del bagno, mezza svestita. Un solo taglio al collo, terrificante, le aveva strappato la vita.
Ma nulla è stato trovato in quella casa che fosse compatibile con l'arma del delitto. Quindi - questa è stata la prima ipotesi - l'assassino si era presentato nell'appartamento armato. Elena Reluca Serban aveva aperto la porta dopo aver controllato dallo spioncino. A un cliente.
Era nata a Galati, in Romania, quasi al confine con la Moldavia. Emigrata con la sua famiglia in Toscana, tornava ogni anno. Dicono che là avesse un fidanzato, ma subito è stato escluso dalle indagini. Come se immediatamente, fin dal principio, tutto fosse apparso chiaro.
In quel giro vorticoso di città e di appartamenti, lei si presentava con parole in italiano molto dolci: «Ti aspetto in un ambiente confortevole, pulito e riservato. Dai, stacca la spina e corri da me! Vivremo insieme dei momenti magici di grande trasgressione».
La sorella piange da tre giorni in una stanza d'albergo di Aosta. Aspetta l'autopsia, per poter organizzare il rimpatrio della salma. Alexandra Serbana risponde al telefono con gentilezza, ma solo per dichiarare tutto il suo dolore. «Avete trattato mia sorella in modo ingiusto, senza alcun tatto. Non è vero che fa quel mestiere che dite voi, all'inizio avete sbagliato anche la sua età e il suo nome. Mia sorella Elena era una bravissima ragazza, meritava più delicatezza». La svolta nelle indagini è arrivata alle dieci di ieri sera.
Gabriel Falloni aveva cercato di scappare. Già sabato sera si era messo in viaggio. A Genova, prima di imbarcarsi per la Sardegna, ci ha ripensato: ieri è stato fermato sulla strada del ritorno verso Aosta. Forse non era la prima volta che incontrava Elena Reluca Serban. Perché la sorella sapeva. Sapeva che lei si sentiva in pericolo.
Nel 2014 Gabriel Falloni era stato condannato dal Tribunale di Sassari per tentata violenza sessuale. Aveva contattato una ragazza su Facebook con la promessa di un posto di lavoro per la cooperativa di autoambulanze che gestiva. L'aveva chiusa in casa, picchiata. E così riportavano i fatti le cronache locali: «Le graffiava il seno e tentava di spogliarla, lei lo mordeva in viso e urlava».
La ragazza era riuscita a divincolarsi, a scappare. Anche durante quel processo era emerso un altro precedente. Sarebbero quattro, quindi: quattro violenze sessuali. Quattro stupri. Prima di arrivare alla porta di una donna che si chiamava Elena Reluca Serban.
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