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Michela Marzano per la Stampa
In Francia, esistono ancora dei certificati di verginità. In che senso? si chiederà senz' altro qualcuno. Tanto più che anch' io me lo sono chiesta.
Scioccata di fronte alla querelle che si è scatenata oltralpe, dopo che il governo ha annunciato una legge per vietare questo tipo di certificati. Ieri, su Libération, un gruppo di medici e ginecologi ha infatti pubblicato un appello chiedendo all' esecutivo di ripensarci. E la Francia si è spaccata. I firmatari del testo - va precisato - non sono affatto favorevoli alla pratica, che giudicano anzi barbara, retrograda e sessista: il certificato viene in genere richiesto dai genitori o dai futuri sposi di giovani donne cui viene allora controllata l' integrità dell' imene.
Ma questi medici e ginecologi sostengono anche che, quando sono loro a fornire i certificati, salvano la vita a ragazze fragili, sole, impaurite e oppresse. E che una legge che impedisca loro di continuare a farlo implicherebbe solo un peggioramento della situazione per tutte coloro che, non potendo proteggersi da sole, sarebbero probabilmente costrette a recarsi all' estero o a sottomettersi a visite clandestine. E quindi? Continueranno senz' altro a chiedersi in tanti.
Quindi la proposta dei firmatari della petizione contro la proposta di legge è quella di non vietare, ma educare, al fine di dare strumenti a tutti e tutte per modificare stereotipi e comportamenti. Una sorte di male minore. Come se sul piatto della bilancia ci fosse, da un lato, il diritto all' intimità e alla privacy e, dall' altro, il diritto alla salute. Io, però, ho qualche dubbio che le cose stiano esattamente così.
Nonostante sia sempre in prima linea per difendere la necessità di superare attraverso l' educazione i problemi legati al sessismo, al non rispetto dell' uguaglianza e ai fondamentalismi piuttosto che obbligare per legge a modificare certi comportamenti, questa volta non ce la faccio proprio a essere contraria a questa proposta di legge sui certificati di verginità. Sono estremamente sensibile al rischio che possono correre tante giovani donne, e penso che si debba escogitare tutti insieme il modo migliore per proteggerle.
Ma sono anche convinta che la legge abbia sempre un valore simbolico, e che vietare qualcosa significa quindi dare un messaggio, indicare una strada e, nel caso specifico, significare che nel 2020 questa pratica è un' inaccettabile barbarie. Non intervenire e sperare che un giorno, forse, le cose cambieranno, significherebbe avallare l' idea che una giovane donna debba sottomettersi al volere dei genitori o del futuro marito, e quindi legittimare la dominazione e la violenza e l' intrusione nella sfera intima e il non rispetto non solo del corpo ma anche della persona.
Come insegno ai miei studenti universitari, non c' è un modo giusto o sbagliato di essere o di amare, anche semplicemente perché ognuno di noi è diverso e la diversità è indice di ricchezza. Ma questo non significa che non ci sia un modo giusto o sbagliato di agire o fare o comportarsi. Nulla legittima l' oppressione e la dominazione né tantomeno il non rispetto della dignità e della libertà della donna. E anche se esiste una differenza fondamentale tra norme giuridiche e norme morali, è bene che la legge vieti queste pratiche immorali, incarnando i valori della libertà, dell' uguaglianza e della fraternità che sono alla base della République.
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