raccolta abiti usati

BASTA COMPRARE VESTITI CHE NON VI SERVONO: INGOLFANO GLI ARMADI E METTONO IN CRISI ANCHE LA SOLIDARIETÀ - GLI ABITI A BASSO COSTO E DI SCARSA QUALITÀ HANNO VITA BREVE E FINISCONO PRESTO NEI CASSONI GIALLI DEGLI INDUMENTI USATI. PECCATO CHE NON POSSANO ESSERE USATI NEMMENO DA CHI SI OCCUPA DI DISTRIBUIRLI AI BISOGNOSI: PERCHÉ NON RIESCONO A ESSERE RICICLATI - UN REGOLAMENTO EUROPEO STABILISCE CHE I TESSUTI DANNEGGIATI NON POSSONO PIÙ ESSERE SMALTITI NEI RIFIUTI INDIFFERENZIATI, MA...

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Estratto dell’articolo di Nina Fresia per "la Stampa"

 

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[…] Il fast fashion, la continua produzione e l'eccessivo consumo di capi a poco prezzo, ha riempito i nostri armadi, ma anche i cassonetti per la raccolta di abiti usati. Un bel segnale di solidarietà e aiuto per chi ha bisogno? Purtroppo è spesso solo una pratica controproducente: gli abiti sono di scarsa qualità e difficilmente riciclabili.

 

«Siamo in piena emergenza», racconta Ilaria Dorigo, responsabile dell'associazione la Porticina della Provvidenza, che a Bologna raccoglie abiti usati e beni di prima necessità per persone in difficoltà. «Noi doniamo soprattutto ai senza fissa dimora e abbiamo bisogno di felpe, maglioni, jeans. E invece ci ritroviamo con tantissimi indumenti da donna e bambino, molti comprati da grandi catene o piattaforme di shopping online», spiega Dorigo.

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A settembre l'Osservatorio Ipsos ha rilevato che nei 12 mesi precedenti all'indagine, due persone su tre in Italia si sono disfatte di vestiti. In media, gli italiani si sono liberati di 7,6 capi a persona: il dato cresce al Nord (8,4) e scende nel Mezzogiorno (6,4).

 

A settembre l'Osservatorio Ipsos ha rilevato che nei 12 mesi precedenti all'indagine, due persone su tre in Italia si sono disfatte di vestiti. In media, gli italiani si sono liberati di 7,6 capi a persona: il dato cresce al Nord (8,4) e scende nel Mezzogiorno (6,4). Ingrossando i magazzini di chi quegli indumenti li raccoglie per non sprecarli: «Di solito, come altre organizzazioni della zona, consegniamo ogni due settimane a una cooperativa gli abiti che non ci servono - prosegue Dorigo - ma da settembre a oggi siamo riusciti a farlo una sola volta: anche i loro magazzini sono pieni.

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Noi prendiamo solo quello che possiamo distribuire, il resto lo diamo a chi può smaltirlo o riutilizzarlo. Se si ferma un ingranaggio di questo ciclo siamo però in difficoltà: per un breve periodo eravamo così disperati che abbiamo accettato solo abiti maschili».

Il caso dell'associazione bolognese non è isolato: sono tanti gli stop temporanei alle raccolte.

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I motivi dei blocchi sono sempre gli stessi: oltre alla quantità sempre maggiori di vestiti, ci sono costi elevati di smaltimento. A spingere molti allo stop anche un nuovo regolamento europeo approvato a inizio anno. Il testo stabilisce che i tessuti danneggiati non possono più essere smaltiti nei rifiuti indifferenziati, ma riciclati da gestori pubblici. Ogni comune dovrà quindi raccogliere separatamente non solo carta e plastica, ma anche i tessuti. Questo comporta per le associazioni interessate il dover stipulare convenzioni con i singoli comuni e farsi carico di diverse spese.

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