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Dagotraduzione dal The Guardian
Bill Traylor aveva avuto una vita piena già prima di trasformarsi in un artista. Nato schiavo in una piantagio di cotone dell'Alabama nel 185, trascorse tutta la vita da agricoltore senza spostarsi mai. Verso la fine degli anni '80, solo e poverissimo, si piazzò a un incrocio del quartiere nero segregrato di Montgomery, la capitale dello Stato, e qui cominciò a disegnare e a dipingere.
Dipingeva su quel che trovava - pezzi di cartone, scatole di caramelle, manifesti pubblicitari -, alternando i suoi ricordi della piantagione al paesaggio urbano che mutava intorno a lui. Tra il 1939 e il 1942 produsse più di mille opere d'arte minimaliste, un patrimonio prezioso e unico, il solo esistente frutto di una persona ridotta in schiavitù fin dalla nascita.
"Bill Traylor: Chasing Ghosts" celebra la storia e il talento di Bill Traylor, «il più grande artista di cui non hai mai sentito parlare» come dice la critica d'arte Roberta Smith nel film.
Per realizzare il film ci sono voluti quasi dieci anni, e una delle sfide principali è stata la ricerca. «I registri non sono molto ben tenuti, soprattutto quando si parla di persone povere, nere e indigenti», ha detto Wolf. «Abbiamo davvero dovuto scavare in profondità». .
Non avendo mai imparato a leggere o scrivere, Traylor ha ideato il suo linguaggio visivo, scavando non solo nei suoi ricordi personali, ma attingendo anche ai modi folkloristici della cultura afroamericana dell'epoca: canto e narrazione, sopravvivenza e guarigione. «Ha scritto l'intera storia orale nella lingua a sua disposizione, che era la lingua delle immagini», dice nel film il curatore di arte popolare dello Smithsonian Leslie Umberger.
Gran parte del suo lavoro è obliquo, forse perché doveva esserlo: era molto rischioso per gli afroamericani del Sud esprimere un punto di vista. Parte della prima generazione di neri che diventarono cittadini americani è cresciuto nella contea sanguinosa di Lowndes, famigerata per la violenza inflitta dai bianchi contro i neri. Ma utilizzando il simbolismo, l'allegoria e l'astrazione, Traylor poteva affrontare argomenti altrimenti impossibili, dall'alfabetizzazione al linciaggio.
Lo stesso Traylor è una figura enigmatica - esistono poche fotografie di lui e nella sua biografia rimangono molte lacune - ma il film si sforza di raccontare pienamente l'uomo. Sposato tre volte e padre di circa 15 figli, Traylor era, nelle parole di Wolf, al tempo stesso «vigoroso, osceno, resiliente e pieno di risorse, con la capacità di inserire grandi idee in piccoli spazi».
Chasing Ghosts colloca anche la vita e il lavoro di Traylor nel contesto della storia in quel momento e in quel luogo. «Montgomery è un posto che ha tanta storia, bella e brutta», dice Wolf, che ha trascorso 7 anni andando avanti e indietro tra il Sud e la sua casa a New York City per il film. «Il Sud è molto più complicato di quanto sembri. Ero questo nordico ebreo bianco, ma ho trovato molte cose in comune con tante persone interessanti».
Il film mostra fotografie d'archivio, filmati, interviste ad artisti contemporanei, curatori, accademici e discendenti di Traylor. I temi della vita e del lavoro sono enfatizzati da momenti di danza, poesia e prosa, e la musica d'epoca accompagna le opere dell'artista.
Il ballerino di tip tap Jason Samuels Smith, incaricato di tradurre l'arte di Traylor in danza. «Gli ho mostrato il lavoro di Traylor, e lui ha inventato le pose partendo dai disegni. Poi, in una notte molto calda e in un palco molto caldo, ha semplicemente ballato con il culo»
Anche se Traylor è stato scoperto solo 30 anni dopo la sua morte, ora è considerato uno dei più grandi artisti autodidatti d'America. Nel 2018 si è svolta su Bill Traylor una grande mostra allo Smithsonian, la prima retrospettiva dedicata a un artista nato in schiavitù. L'anno scorso un'opera di Traylor, regalo di Steven Spielberg ad Alice Walker, è stata venduta all'asta per una cifra record.
Ma l'ambiguità nel lavoro di Traylor persiste: il gatto dalla faccia bianca che appare nelle sue scene più violente è un testimone o un fantasma? Il cappello da stufa in cima a molte delle figure è un riferimento ad Abraham Lincoln, come suggerisce Pollard? E forse il mistero più grande è: perché prodigiosa produzione è esplosa nei suoi ultimi anni di vita. Wolf ammette di essere perplesso: «In un breve periodo di tempo riversa sui disegni i suoi ricordi, le sue radici ancestrali e la storia che sta vivendo. È una specie di fenomeno. È qualcosa che non abbiamo decifrato, ma questa è la magia per lui, ciò a cui si è aggrappato, tutti quei periodi di tempo».
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