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Estratto dell’articolo di Andrea Nicastro e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
Robert Fisk, il leggendario giornalista britannico, era riuscito a incrociarlo a Damasco, ma non a parlargli. Attorno aveva troppe guardie del corpo e il regime degli Assad gli aveva poi impedito qualsiasi altro contatto. Via George Haddad 7 aveva scritto Fisk. Quasi.
Il nazista al servizio degli Assad, la loro belva per azzannare a comando gli oppositori, abitava in Abdul Hamid al-Katev numero 1. Circa 200 metri da via Haddad. Caduto il regime degli Assad la Siria è diventata un Paese loquace. Basta chiedere e la gente, muta per mezzo secolo, è contenta di parlare. «Mi ricordo bene il “Tedesco”. Ma sarà morto una ventina di anni fa. Ecco, quella era la sua casa, là al terzo piano».
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una statua di Hafez al Assad abbattuta
Il tedesco che ricorda Amer in realtà era austriaco, uno dei più sanguinari nazisti al servizio dello sterminio degli ebrei. Il vero nome era Alois Brunner, nato nel 1912 da una famiglia contadina, responsabile secondo il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal della deportazione e della morte di almeno 120 mila ebrei. «Il mio uomo migliore», diceva Adolf Eichmann.
Il giovane Brunner non era affatto un banale burocrate dello sterminio, era il migliore perché godeva di quel che faceva. Nel 1944, con gli alleati che avanzavano dalla Normandia, Brunner pagò di tasca propria le SS del campo di Drancy perché non scappassero. Li convinse a completare il «lavoro» e riempì altri tre carri merci per Auschwitz.
Alla fine della guerra Brunner aveva appena 33 anni. Come tanti nazisti cercò di nascondersi in Medio Oriente, ma a differenza di altri non smise di essere un mostro. In Siria mise ancora a frutto il suo sadismo. Divenne il maestro di tortura del padre di Bashar al-Assad, il militare golpista Hafez.
Erano sue invenzioni alcune delle tecniche di tortura ancora in uso fino a sabato scorso nella prigione di Sednaya. La «poltrona tedesca» che lentamente spezza la spina dorsale e la sedia con la candela sotto per bruciare lentamente le carni erano sue creature.
Imad Bazeghlan non solo ha sempre vissuto nel quartiere del «Tedesco» a Damasco, ma ha fatto il servizio militare quando Brunner era all’apice della sua seconda carriera, quella di consulente della dittatura siriana. «Avevo un commilitone — racconta — che parlava la sua lingua. Quando lo chiamavano per fargli da interprete voleva dire che c’era qualcuno da torturare. Spesso i prigionieri, appena sapevano che arrivava il “Tedesco”, confessavano qualsiasi cosa pur di evitare il supplizio».
«Tutti sapevamo che era un nazista» spiega un altro vicino, Bashar al-Jisre. «È stato l’eccesso di sicurezza a tradirlo.
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Brunner ricevette una lettera esplosiva nel 1961 che gli fece perdere parte della vista e un’altra nel 1980 che gli staccò alcune dita della mano sinistra. «Un terzo pacco bomba israeliano — ricorda al-Jisre — non andò a segno perché fu una guardia ad aprirlo e rimase ferita o morta».
Si diceva che Brunner fosse caduto in disgrazia, che avesse finito la vita agli arresti. Non è ciò che risulta ai vicini. «Un giorno arrivò un’ambulanza a portarlo via — racconta Bazeghlan —. Sembrava già incosciente. Dopo due giorni vennero a smontare le garitte. Abbiamo pensato fosse morto». Avrebbe avuto 88 anni.
Che vita ha avuto un uomo così? «Era come un prigioniero — ricorda Bazeghlan —. Andava solo ai giardinetti a raccogliere fili d’erba, ma era solo, peggio di un cane. Mai vista una donna e non parlava neppure abbastanza bene l’arabo per avere una qualunque conversazione con i soldati». Brunner ha vissuto molto più a lungo delle sue vittime, è sfuggito alla giustizia, ma sempre solo, in attesa di torturare ancora qualcuno.
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