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Da oggi in Bolivia, con l’entrata in vigore del nuovo codice dei minori, il lavoro fino ai 10 anni di età è proibito e quello dai 10 ai 14 anni sarà permesso solo se il minore continuerà a studiare.
In Bolivia almeno un terzo dei bambini lavora. Sono numeri più alti di quelli medi di una regione, l’America latina, dove secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro almeno 13 milioni di bambini e bambine devono darsi da fare piuttosto che studiare.
Nel paese andino sono almeno 850.000 i minori dai 5 ai 17 anni occupati, quasi tutti in attività legate a condizioni estremamente umili e spesso inadatte, nelle miniere, nella pastorizia in località remotissime a 4.000 metri di quota, nell’edilizia, nell’informale. Da oggi con il nuovo codice del minore prova ad arginare questo fenomeno storico introducendo dei limiti legali che prima si potevano solo supporre.
Il conflitto culturale riduce la possibile portata della legge ma allo stesso tempo punta il dito contro il lavoro nero e coatto e priorizza l’educazione. L’approvazione del codice è passata attraverso un percorso travagliato e lo stesso presidente Evo Morales ha preso posizioni dubitative: «Parlo per esperienza di vita: bisogna eliminare lo sfruttamento ma non si può eliminare il lavoro di bambine e bambini.
Nelle aree rurali [gran parte del paese] dal momento che si impara a camminare ciò comporta prestare un servizio alla famiglia e questo contribuisce a formare la coscienza sociale. Non è sfruttamento ma è parte del sacrificio che comporta la vita».
Si apre così un enorme problema morale e mentre l’Unicef e OIT sono schierate nel paese contro il lavoro minorile -«la questione culturale è un alibi»- una ONG come Save the Children lo difende: «fin da piccoli i bambini sono considerati parte attiva della comunità e non tutto il lavoro minorile è sfruttamento».
BOLIVIA - LAVORO MINORILE 2
BOLIVIA - LAVORO MINORILE
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