DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
La sensazione è che il «maialino unto» - così l'ex premier David Cameron aveva definito Boris Johnson - sia sfuggito alla presa ancora una volta. Ieri mattina è piombato su Westminster l'atteso rapporto finale dell'inchiesta sul Partygate, lo scandalo delle feste a Downing Street durante il lockdown: ma più che un botto, è stata una mezza cilecca.
Certo, il documento di 37 pagine redatto dalla temuta funzionaria governativa Sue Gray contiene 9 fotografie e tanti dettagli succosi: durante quei ripetuti baccanali nella residenza del primo ministro, c'era chi, ubriaco, finiva a vomitare sul pavimento, mentre altri, sempre in preda ai fumi dell'alcol, arrivavano ad accapigliarsi.
Poi c'era il vino versato dovunque, anche sulle fotocopiatrici, e le insolenze contro lo staff delle pulizie e della sicurezza. I collaboratori del premier erano consapevoli delle marachelle, tanto che i più alticci venivano fatti uscire alla chetichella dalla porta di servizio.
Ma la realtà è che la sostanza non cambia di molto: erano mesi che si sapeva cosa era successo a Downing Street mentre il resto del Paese si dibatteva nelle spire del Covid, le foto più imbarazzanti erano già circolate e lo stesso rapporto Gray era stato in parte già anticipato a gennaio, quando Johnson era stato accusato di un «fallimento di leadership» per aver presieduto a una simile cultura del disprezzo delle regole. In più, Scotland Yard aveva concluso la sua inchiesta criminale infliggendo a Boris una sola multa da 50 sterline, invece della grandinata di provvedimenti che molti si aspettavano.
E quindi quando ieri, poco prima dell'una, Johnson ha preso la parola di fronte a un'aula di Westminster stipata di deputati, ha avuto buon gioco a deflettere gli attacchi.
Il capo del governo ha parlato di bagno di umiltà, ha detto di aver imparato la lezione, ma si è mostrato ben poco contrito: anzi, ha fatto di tutto per minimizzare i fatti e ha finito sostanzialmente per autoassolversi. Era suo dovere, ha detto Boris, presenziare ai party di saluto per i membri dello staff che lasciavano l'incarico: e in ogni caso si era affacciato solo per pochi minuti, trovando deplorevole che poi quei festaioli fossero andati avanti in qualche caso fino alle 4 del mattino.
Un aiuto glielo ha offerto la stessa Sue Gray, che nel suo rapporto ha ammesso che ci sono stati di recente dei miglioramenti nella gestione interna di Downing Street. E sicuramente la posizione di Johnson è stata alleggerita dal fatto che anche il leader dell'opposizione laburista, Keir Starmer, è finito impigliato in uno scandalo di violazione del lockdown a base di birra e cibo indiano. Così J0hnson ha potuto concludere che è venuto il momento di «andare avanti» e concentrarsi sui veri problemi del Paese, a partire dall'impennata del costo della vita: concetto ribadito anche in una conferenza stampa televisiva tenuta nel pomeriggio.
Dunque, che succede ora? Poco o nulla, probabilmente: ieri in Parlamento non c'erano segni evidenti di ammutinamento sugli scranni dei conservatori. Per andare a un voto di sfiducia contro il premier occorrono 54 lettere di deputati del suo partito: le fonti meglio informate dicono che se ne sono già accumulate oltre 40, ma se pure si andasse alla conta Johnson se la caverebbe, perché non c'è accordo su un eventuale successore. Quindi è probabile che arrivi a guidare i conservatori alle elezioni politiche del 2024: con la possibilità di vincerle di nuovo.
Certo, Boris non è del tutto fuori pericolo: pende sul suo capo l'inchiesta parlamentare per stabilire se abbia mentito al Parlamento, un «crimine» che in Gran Bretagna comporta le dimissioni. Ma è un procedimento che andrà avanti per mesi, almeno fino all'autunno. Nel frattempo, lo spettacolo continua.
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