DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Paolo Colonnello per “La Stampa”
massimo giuseppe bossetti, il presunto assassino di yara gambirasio 46742f5a25a9a4b3191386467cc51d9c
Massimo Bossetti, commentando la scomparsa di Yara, raccontò al cognato Agostino Comi di essere passato vicino alla casa dei Gambirasio il giorno della sua scomparsa e di aver notato «la presenza delle forze dell’ordine». Ma quella sera, il 26 novembre 2010, i carabinieri arrivarono a Brembate di Sopra per cominciare le ricerche della ragazzina solo dopo le 19,30. Come fece allora il muratore di Mapello a notare la loro presenza se ha sempre sostenuto che a quell’ora si trovava già a casa «come sempre», in compagnia della sua famiglia?
«È significativa la circostanza che l’indagato non è riuscito a chiarire agli inquirenti le affermazioni del cognato Agostino Comi che ha dichiarato di aver appreso direttamente dall’indagato la circostanza...». Così scrive il gip Ezia Maccora nel provvedimento con cui lunedì ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata appena tre giorni prima dai suoi legali, Gazzetti e Salvagni.
E giudica quello di Bossetti «un comportamento incoerente» con «ricostruzioni diverse e confuse» che «non possono considerarsi spontanee essendo state effettuate da Bossetti solo dopo aver letto l’ordinanza della misura cautelare».
Ci vogliono appena cinque pagine al gip Maccora per smontare l’istanza di 40 pagine presentata dagli avvocati in cui si sostiene, tra l’altro, che il pm avrebbe nascosto al giudice alcuni elementi rilevanti «già parte degli atti istruttori, la cui conoscenza avrebbe portato a un differente provvedimento», ovvero a scagionare il loro assistito. Accusa alla quale il gip risponde rammentando che le sue decisioni sono sempre state prese sulla base degli atti raccolti fino al giorno dell’arresto, ampiamente noti anche alle difese.
Bossetti, dunque, deve continuare a rimanere in carcere «giacché la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi da criteri oggettivi e dettagliati». Vale a dire, che rimane ancora intatta tutta la forza della prova del Dna eseguita su una traccia «di ottima qualità, conservata grazie al tipo d’indumenti su cui è stata trovata, gli slip e i leggings, indumenti più interni, meno esposti e quindi più protetti dagli agenti esterni».
bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio
E dato che Bossetti «ha negato qualsiasi conoscenza o contatto con la vittima», «non ci sono elementi che giustificano la presenza di tale traccia del Dna dell’uomo sul corpo della ragazza, se non il contatto tra i due soggetti avvenuto al momento dell’aggressione subita da Yara Gambirasio la sera del 26 dicembre 2010».
C’è poi l’aggancio della cella telefonica di Bossetti alle 17,45 «nel medesimo ambito territoriale in cui si trovava la ragazza la sera della sua scomparsa» che esclude «nel contempo la presenza del muratore da contesti lavorativi o personali territorialmente diversi».
L’unica vera novità, nota ancora il gip, è rappresentata dai due verbali resi da Bossetti l’8 luglio e il 6 agosto, per altro conosciuti dalle difese. Due verbali che in realtà complicano la posizione dell’indagato ed evidenziano le sue contraddizioni. In particolare quando il muratore racconta di essere passato da Brembate la sera della scomparsa di Yara tornando dal lavoro nel cantiere del cognato. Dice Bossetti: «...Non mi sono mai spostato dal cantiere, sono stato dal commercialista, dal meccanico, da mio fratello Fabio, all’edicola…».
Ricostruzioni diverse e confuse, nota il gip visto che «ciò che aveva dichiarato in sede di udienza di convalida non era stato riscontrato dai successivi e specifici accertamenti investigativi». In particolare il fatto che quel pomeriggio è risultato che Bossetti non andò in cantiere e quindi non si capisce perché si trovasse a Brembate tra le 18 e le 19, come hanno rilevato i filmati di diverse telecamere acquisiti dai carabinieri.
2. AGGREDITA LA GEMELLA DI BOSSETTI - L’AGGUATO NEI GARAGE: «È IL SECONDO»
Da “corriere.it”
È l’ora dei bambini in cortile, le mamme ai fornelli, gli operai che rientrano dal lavoro. Letizia Laura Bossetti ha appena attraversato il ballatoio. Sparisce oltre la porta. Il citofono è un elenco con decine di nomi. Non passa un secondo dalla chiamata e a rispondere è Ester Arzuffi, la madre che ha appena fatto ritorno con lei dall’ospedale.
Ci ha pensato il marito di Letizia a riportarle a casa. Non lascia fare la domanda, la voce è decisa: «Parli con il nostro avvocato». Fine della conversazione. Non dell’incubo. Nel primo pomeriggio, la sorella gemella di Massimo Giuseppe Bossetti, il carpentiere in cella d’isolamento dal 16 giugno per l’omicidio di Yara Gambirasio, è stata aggredita nei garage del condominio dei genitori. In tre l’hanno stesa con calci e pugni. Lei ha perso i sensi.
Un’ambulanza l’ha trasportata al pronto soccorso di Ponte San Pietro, dove per altro pare fosse già stata refertata per un episodio simile. L’avevano presa di mira in maniera meno violenta, ma il messaggio era stato inequivocabile. Uno strattone e insulti contro il fratello. E prima ancora le era stata fatta trovare la pagina di un quotidiano dedicata al delitto della tredicenne di Brembate e al suo presunto aguzzino.
L’avvocato Benedetto Maria Bonomo si trincera. In ospedale si è presentato anche lui e oggi incontrerà i suoi assistiti per stendere un’altra querela. Risulta che i precedenti episodi siano già stati denunciati. Ammette solo, Bonomo, che «la situazione è di grande tensione».
E ribadisce quello che negli ultimi tempi ha ripetuto in più di una trasmissione televisiva, perché il concetto sia chiaro: «Una cosa è l’amore per un parente, un’altra è la complicità in un delitto».
Come a dire: è naturale che difendano Massimo, ciò non significa che stiano nascondendo o siano responsabili di qualcosa. Il punto sembra proprio questo: un’escalation di violenza, contro la gemella che non si è mai nascosta davanti ai giornalisti. Coincidenza, qualche giorno fa aveva ribadito di credere fermamente all’innocenza del fratello e la sua foto era finita di nuovo sui giornali. Può essere stata la molla?
Gli unici a scucire dettagli, tra il cancello e le rampe dei box, sono i vicini di casa. Non che parlino volentieri. «Io so tutto - ammette, a forza di insistere, una quarantenne davanti a un gruppetto di donne -, è accaduta una cosa gravissima». Al cronista, però, non la racconta.
«Ho figli piccoli, mi capisca. Dopo oggi, c’è da avere paura sul serio». L’altro che è stato testimone è un anziano col cane. E anche lui dei giornalisti non ne vuole sapere. Non sa resistere, però, alle vicine. Letizia aveva parcheggiato la macchina nel garage per andare ad assistere il padre Giovanni, malato da tempo. Doveva esserci una porta di sicurezza aperta.
Da lì sarebbero entrati, e usciti, tre tizi. Le hanno sferrato calci e pugni in pancia, finché ha perso i sensi ed è crollata a terra. Scattato l’allarme (non è chiaro se lanciato proprio da un vicino), sono arrivati gli agenti della polizia locale e i carabinieri della compagnia di Zogno, mentre la donna, 43 anni, veniva accompagnata in ospedale.
Non sarebbe stata in grado di dire se gli aggressori sono le stesse persone che l’avevano attaccata in precedenza, sempre sotto il condominio di Terno. Lei stava salendo in auto. Loro le hanno afferrato il braccio e l’hanno spinta all’interno, inveendo contro «l’assassino Bossetti». Un’altra tegola, pesantissima, su una famiglia già stremata.
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