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1 - BOSSETTI: INTERROGATE DUE MIEI COLLEGHI IL MURATORE AL PM: «LORO SANNO PERCHÉ IL DNA È FINITO SU YARA»
Armando Di Landro per il "Corriere della Sera"
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Ha fatto i nomi di due colleghi di lavoro Massimo Bossetti, durante l’interrogatorio davanti al pubblico ministero Letizia Ruggeri, martedì in carcere. Due colleghi che secondo l’indagato «possono spiegare» e «aiutare le indagini».
Stando alle indiscrezioni si tratterebbe di due muratori bergamaschi, impegnati sul cantiere di Palazzago, che l’uomo accusato di aver ucciso Yara Gambirasio avrebbe citato a supporto della sua ipotesi: ho perso spesso sangue dal naso, finito anche su alcuni mezzi di trasporto o attrezzi di lavoro che potrebbero essere scomparsi dal cantiere per mano di qualcun altro, e poi eventualmente utilizzati per ferire la ragazzina di Brembate Sopra.
Non è ancora emerso, però, se i due colleghi, stando a Bossetti, siano in grado semplicemente di confermare che il carpentiere di Mapello perdeva spesso sangue dal naso, o se si tratti di due persone che possono sapere qualcosa in più: ad esempio se è vero che qualcuno ha sottratto uno o più attrezzi, eventualmente un coltello o un taglierino, e in caso positivo chi sarebbe quel qualcuno.
bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio
Di certo quelle due persone sono già state ascoltate dagli inquirenti prima che l’indagato parlasse delle sue ipotesi al pubblico ministero. Entrambi i colleghi — interrogati dopo la moglie di Bossetti, Marita Comi — avevano già confermato che spesso, il carpentiere, soffriva di epistassi. Nessuno dei due, però, ha mai riferito di movimenti sospetti, durante la costruzione delle villette, o addirittura di furti di materiale o di attrezzi di qualsiasi tipo.
La necessaria verifica degli inquirenti passerà da due nuovi interrogatori dei colleghi, ma anche da una nuova mappatura di tutte le persone che avevano lavorato a Palazzago, nel cantiere gestito dal cognato di Bossetti, Osvaldo Mazzoleni: carabinieri e polizia vogliono capire se qualcuno può essere sfuggito ai primi interrogatori. Le persone impegnate su quel cantiere — almeno una decina — erano state già sentite nei primi giorni dopo il fermo del presunto assassino di Yara Gambirasio, il 16 giugno.
La scienza, inoltre, potrebbe essere protagonista anche di questo ulteriore confronto tra accusa e difesa, basato appunto sulle ipotesi dell’indagato. Sugli slip e i leggings di Yara Gambirasio erano state trovate due tracce, probabilmente di sangue. Campionate più volte dal Ris, avevano dato due esiti: in alcuni casi il materiale biologico di «Ignoto 1» risultava misto a quello della vittima, in altri casi era invece puro, unico.
«Qualora ci fosse contaminazione si vedrebbe e in quei casi non ce n’era», ha dichiarato ieri il rettore dell’Università di Tor Vergata Giuseppe Novelli, a capo del pool di consulenti genetici della Procura. Il punto è piuttosto chiaro: l’ipotesi di Bossetti reggerebbe solo supponendo che qualcuno possa aver utilizzato un taglierino sul quale c’era il sangue del carpentiere di Mapello, ma senza contaminarlo affatto, nemmeno con una goccia di sudore. Possibile, in teoria.
2. L’AUTOGOL DEL SOSPETTATO UN NUOVO VIDEO: ERA DAVANTI ALLA PALESTRA
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
Potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol la scelta di Massimo Giuseppe Bossetti di farsi interrogare per cercare di spiegare come mai il suo Dna fosse sugli indumenti intimi di Yara Gambirasio. Un errore tattico nella partita che la difesa sta giocando con l’accusa in vista di un processo che potrebbe arrivare in tempi brevi se i pm confermeranno, come pare, la decisione di procedere con rito immediato. Perché l’uomo accusato di aver catturato, abusato e lasciato morire la ragazzina nel campo di Chignolo d’Isola, ha riconosciuto la validità della prova e così ha ammesso di essere «Ignoto 1».
E lo ha fatto probabilmente senza sapere che le verifiche effettuate nelle ultime ore hanno fornito agli investigatori ulteriori elementi per dimostrare la sua presenza vicino al Centro Sportivo di Brembate Sopra poche decine di minuti prima che Yara fosse portata via. I filmati trovati in una nuova telecamera montata su una stazione di servizio riprendono il suo furgone a pochi metri dalla palestra dove Yara si trovava quel pomeriggio del 26 novembre 2010.
IL NUOVO VIDEO E IL CATARIFRANGENTE
È un altro tassello nel mosaico che carabinieri e polizia stanno componendo in vista della richiesta di giudizio che il sostituto procuratore Letizia Ruggeri potrebbe presentare già a metà settembre, quando scadranno i termini per procedere con il rito veloce, saltando l’udienza preliminare.
Una procedura prevista quando l’accusa ritiene di avere «prove evidenti» sulla colpevolezza dell’indagato. Sono pochi fotogrammi, ritenuti però decisivi per ricostruire un altro pezzo del percorso che Bossetti avrebbe compiuto quella sera prima di adescare la sua vittima. Sinora si era parlato di telecamere piazzate su una banca. Scorrendo le decine di video sequestrati il giorno dopo la scomparsa della ragazzina, i carabinieri del Ros hanno evidenziato alcuni fotogrammi catturati da una telecamera che si trovava all’interno del distributore di benzina, di fronte al centro sportivo.
E hanno scoperto che il furgone Iveco del muratore è transitato su quella strada. L’identificazione del mezzo è avvenuta attraverso un particolare catarifrangente montato dallo stesso Bossetti, che è diverso da quelli di serie. Un accessorio che combacia perfettamente con quello montato sul suo furgone. E fa ulteriormente vacillare la versione fornita durante il primo interrogatorio davanti al giudice Ezia Maccora.
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L’INCROCIO DEGLI ORARI
Tra gli indizi che hanno convinto il gip a firmare l’ordinanza di custodia cautelare per omicidio, oltre al Dna, ci sono la calce rinvenuta nei polmoni e sui vestiti della vittima (che sin da subito aveva indirizzato le ricerche dell’assassino verso chi lavora nell’edilizia) e soprattutto il fatto che il cellulare di Bossetti agganci la «cella» telefonica del Centro Sportivo alle 17,45, esattamente un’ora prima che Yara sparisca e agganci la stessa «cella».
«Posso essere passato da quella strada per tornare a casa dal lavoro», si è giustificato l’indagato. La sua versione appare ora molto più fragile visto che la telecamera del benzinaio riprende il furgone in transito circa un quarto d’ora dopo accreditando l’ipotesi — già formulata dagli investigatori — che il muratore stesse girando intorno alla palestra, che stesse aspettando l’uscita della ragazzina come avrebbe fatto anche nei giorni precedenti quando il suo telefonino risulta aver agganciato le stesse «celle» e sempre in orari compatibili con la presenza di Yara all’interno del Centro.
LA GIUSTIFICAZIONE SUL SANGUE
A tutto questo si aggiunge la giustificazione che Bossetti ha fornito circa la presenza del suo sangue all’interno degli slip e dei leggins della vittima. Raccontando di soffrire di epistassi e di aver potuto sporcare di sangue un taglierino che sarebbe stato poi usato da altri, l’indagato ha fornito una versione non credibile e soprattutto ha ottenuto l’effetto paradossale di consegnare un nuovo elemento all’accusa.
Ha riconosciuto infatti in un verbale compilato davanti al pm che quella traccia di sangue è effettivamente sua, senza contestare la validità dei test effettuati. A questo punto il giudice potrebbe avere motivi validi per respingere l’istanza annunciata dai suoi legali per chiedere la ripetizione delle analisi effettuate per estrarre il Dna dagli indumenti di Yara, non ritenendola più indispensabile.
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