“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Giampaolo Visetti per la Repubblica
Corinne Santaniello ha 19 anni e non ha aspettato. Appena esce dalla scuola sale in bici e va dalle sue rose. Pianta, taglia, pulisce, bagna e quando è il momento raccoglie i petali carnosi. Le servono per macerare aceto e caramellare zucchero profumato. Non possiede terra: gliela prestano gli amici, in cambio della bellezza di un giardino fiorito. Ha cominciato quindicenne e tra pochi mesi, dopo la maturità agraria, vuole mettersi in proprio.
Avere presto un’idea fa la differenza. «Punto sulle rose in cucina — dice — ma anche come cosmetico. La natura mi offre la possibilità di esprimere una personalità ». Il problema è che i due terreni riservati ai fiori sono ai capi opposti della periferia di Padova, dove vive.
Uno verso Vicenza, l’altro in direzione di Rovigo. I compiti li finisce di notte. «Un giovane — dice — non ha i soldi per acquistare una campagna comoda. O trova qualcuno che gliela presta, oppure non può fare il contadino e dare una mano in casa ». Per questo, assieme a migliaia di coetanei, la sua speranza oggi si chiama “Banca della terra”. Alcune regioni stanno avviando i primi esperimenti, ma il Veneto ha appena approvato le regole attuative ed entro la primavera inaugurerà la rivoluzione italiana dei “giovani senza terra”.
Le superfici non coltivate saranno affittate a chi è disposto a recuperarle alle colture. Per la prima volta, oltre agli enti pubblici, anche i privati saranno invitati a mettere a disposizione i terreni abbandonati. Nei bandi d’assegnazione i ragazzi avranno la precedenza. «L’obbiettivo — dice l’assessore veneto all’agricoltura Giuseppe Pan — è offrire un’opportunità ai giovani che vogliono tornare in campagna, sottrarre all’abbandono e al degrado aree che rovinano il paesaggio».
La crisi economica, per una volta, aiuta. La generosità dell’agricoltura si rivela più forte dei limiti di globalizzazione e robotica: i conti tornano, i figli succedono ai padri. In Italia sono 50mila le aziende agricole under 35, quelle condotte da un contadino sotto i quarant’anni sono oltre 1,1 milione. Il nostro Paese è leader Ue: una nuova impresa su dieci, guidata da un giovane, produce cibo.
Nel 2016 le start-up agricole avviate da under 30 sono state 7.569. Per chi non eredita la terra resta però lo scoglio del capitale necessario per acquistarla, o della liquidità per avviamento e affitto. «Sapere che ci sono meravigliose idee contadine che muoiono assieme a terreni inselvatichiti — dice Marcello Gottardi — fa male. La terra non coltivata è come un’auto ferma in garage: dopo un po’ non riparte più».
Anche lui, laureato in Agraria, ha anticipato la “Banca della terra”. A San Michele, vicino a Bassano del Grappa, recupera alle vigne le colline invase del bosco e dai sassi. Un po’ di terra l’avevano comprata i genitori, quella che manca per «stare in piedi» l’affitta lui. «Una famiglia nobile — dice — non la lavorava più. Piuttosto che vederla diventare sterile, dopo secoli, me l’hanno ceduta in cambio di cura».
Ha 26 anni e il suo vino si chiama “Musso”, asino in dialetto. Possiede realmente tre bestie, Serafino, Pomea e Burrito, incaricate di rasare l’erba sotto gli erti piantati di olivi. Sono i prodigi biologici dell’appetito animale. «Pubblici e privati che lasciano i terreni in abbandono — dice — promuovono una speculazione al contrario che danneggia la collettività. Lo fanno in attesa di un cambio di destinazione d’uso, o dopo che la crisi ha sottratto redditività a edilizia e industria. A perderci sono la fertilità, la sicurezza idrogeologica, la protezione dagli incendi, la produzione alimentare e la bellezza del paesaggio: oltre ai giovani che vogliono tornare alla terra per dare un senso alla vita».
Nel Veneto che candida la culla del prosecco a diventare patrimonio dell’umanità tutelato dall’Unesco, il 2% della superficie coltivabile è abbandonata. Oltre 810mila ettari non vengono curati da oltre dieci anni. Secondo la Coldiretti regionale almeno 15mila ettari possono essere «versati» subito nella nuova “Banca della terra”, offrendo una chance di lavoro a 3mila giovani. I primi 40 ettari, tra cui alcuni sequestrati alla criminalità, sono già pronti per essere assegnati per i prossimi quindici anni. Chi vincerà le aste dovrà coltivare direttamente i terreni «in prestito». «Resta il problema dei tempi — dice Marcello Gottardi — nel caso di una vigna i primi sette anni occorrono per preparare fondo e piante. Un giovane deve avere un orizzonte più lungo: per farcela devi vendere prima di produrre ed essere completo, dall’analisi chimica al marketing». La pazienza occorre per tutti gli alberi da frutto.
A Silea, nel Trevigiano, il trentenne Simone Serafin ricava olio dalle nocciole. Un solo ettaro, ma il successo è tale che per soddisfare i clienti ne servirebbero molti di più. Se Regione, Comuni e privati confinanti con lui riusciranno a sottrarre un po’ di terra al cemento o alle ortiche, o alla speculazione dei colossi di credito e assicurazioni, gli serve la garanzia che il noccioleto possa crescere secondo il ritmo della natura. «Una lunga battaglia — dice Alex Vantini, 25 anni, coltivatore di kiwi nel Veronese e leader regionale dei giovani di Coldiretti — rischia di essere persa a causa della burocrazia. I Comuni devono accelerare il censimento dei terreni incolti, ma pure porre condizioni d’affitto realmente sostenibili».
Nessuno lo dice, ma come nel resto d’Italia la “banca verde” che vuole «fare credito» ai neo ragazzi “senza terra”, anche qui lotta contro nemici invisibili. Tutti entusiasti, a parole. Poi le pratiche, spinte dai silenzi politici, finiscono nella tomba dei cassetti dei burocrati. La legge che in Veneto ha dato il via libera, dopo che i giovani erano scesi in piazza per reclamare la terra che nessuno cura, è dell’estate 2014. Solo a fine dicembre però il consiglio regionale ha approvato le norme attuative. «Grazie alla spinta dal basso — dice Luca Motta, nominato nella commissione che stabilisce gli affitti dei terreni in palio — si avvera un sogno sociale antico.
Affidare la terra a chi la ama per ricavarne cibo in modo giusto. Finalmente tocca ai giovani e saranno loro a proteggere gratuitamente un Paese che avidità ed egoismo hanno reso ancora più fragile». Corinne però non può aspettare. Alle sue rose serve spazio, la “Banca della terra” è necessaria subito per aiutarla a fare da sola. «Non posso pretendere — dice — che tutti i compagni di scuola bevano sempre gli stessi succhi di frutta per regalarmi le bottigliette di vetro in cui vendere l’aceto profumato ».
È quasi sera. Lei non smette di spostare il velo di ghiaccio e di piantare i fiori della prossima estate. Crescono ancora dietro una fila di pannelli solari, lungo l’autostrada paralizzata dai camion.
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