RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Floriana Bulfon per repubblica.it - Estratti
niger fondamentalisti islamici
Sono arrivati all’improvviso cavalcando le moto. Con i mitra spianati. Hanno radunato tutti al centro del villaggio: «Domani torniamo, chi sarà ancora qui lo ammazziamo». Safi ha intorno un nugolo di figli, sopravvissuti a un attacco dei jihadisti che stanno divorando il Sahel: assieme a lei, altri cinquanta abitanti sono fuggiti cinque mesi fa da un villaggio nella regione di Tillabéri a 150 chilometri dalla capitale, e ora sono accatastati nelle catapecchie costruite sulla sabbia rossa della periferia di Niamey.
Accanto a Safi c’è la cugina che ha visto uccidere il marito: non sapevano dove andare sono rimasti nella loro casa. L’indomani i terroristi l’hanno giustiziato davanti alla moglie e alla sua bambina.
Il nemico è sempre più vicino: i raid sono arrivati a cinquanta chilometri da Niamey e si segnalano attentati alle porte della città. Ma i generali che hanno preso il potere nel luglio 2023 cercano di soffocare le notizie per non ammettere il fallimento dei loro slogan securitari. Lo stesso accade in Mali e in Burkina Faso, dove i russi chiamati dai golpisti non sanno arginare l’escalation islamista.
niger fondamentalisti islamici
Molti temono che qui possa sorgere un nuovo Califfato, piantato nel crocevia della rotta di migrazione verso l’Italia: c’è l’identico cocktail di povertà, corruzione e violenza che permise all’Isis di imporsi in Siria e Iraq. I numeri concretizzano la minaccia perché nel 2023 nel Burkina Faso sono state assassinate quasi duemila persone ma l’Africa Center for Strategic Studies stima che in tutto il Sahel i morti siano stati 11mila.
Per l’Unhcr 2,8 milioni di profughi si sono trasferiti nei campi umanitari e nelle baraccopoli spuntate intorno a Niamey. Vere discariche di esseri umani: «Non abbiamo cibo, non abbiamo medicine, non abbiamo nulla», spiega Safi mentre il termometro segna 46 gradi. «Quelli che ci hanno tolto tutto non sono veri musulmani, sono solo terroristi», sbotta Aissatou mentre fa scorrere sul telefonino le foto della sua casa, del suo villaggio, della sua vita di prima con il vestito buono.
In Niger al momento del putsch c’erano tremila militari francesi con elicotteri e caccia: 1500 americani con aerei e droni; altrettanti istruttori europei. Circa seimila occidentali, che fornivano alle truppe locali intelligence, logistica, addestramento e mandavano forze speciali contro i jihadisti. I golpisti hanno subito espulso la spedizione francese, poi la missione Ue e quindi è stata la volta di quella Usa: metà degli statunitensi è già partita e tra pochi giorni la Base 101 di Niamey passerà in mano agli inviati di Mosca.
NIGER - PROTESTA CONTRO GLI AMERICANI
A frenare la marcia trionfale dei fondamentalisti sono solo le divisioni interne. Nel Sahel operano due movimenti in lotta fra loro: lo Stato Islamico del Grande Sahara, schierato con l’Isis, e Jamaat Nusrat Al-Islam wal Muslimeen (Jnim), legato ad Al Qaeda. Non conoscono confini: si spostano da una nazione all’altra, facendo proselitismo nel Benin, in Nigeria, in Libia e nei Paesi della Costa Atlantica. «Attirano i ragazzini promettendo soldi e armi - spiega Issifou, un superstite dei massacri diventato missionario evangelico - Ho visto bambini uccidere e non sapere nulla del Jihad: prendono le pastiglie di Tramadol e vanno all’assalto gridando “Allah Akbar”».
(...) Sì, in questi Paesi c’è la stessa ondata d’odio che dieci anni fa ha permesso a Mosul la nascita dello Stato Islamico.
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