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Tommaso Ciriaco per www.repubblica.it
Prendetevi tutto, ma non il mio vitalizio. Non c'è pace per Gino Paoli, costretto a rinunciare a quasi due anni di pensione da ex parlamentare al termine di un duello con la Camera dei deputati. Poco più di quarantaduemila euro netti che Montecitorio ha negato al celebre cantautore per i ventuno mesi in cui ha rivestito l'incarico di presidente della Siae. Soldi che l'artista genovese non aveva alcuna intenzione di perdere, visto l'appello inoltrato alla Camera per mantenere il doppio assegno. Inutilmente: "La carica alla Siae - scrive ora il collegio - è incompatibile con il mandato parlamentare".
Tutto nasce nel dicembre del 2013, quando i questori di Montecitorio sospendono il vitalizio della celebre voce del "Cielo in una stanza". Si tratta di 2.019 euro netti, che Paoli percepisce fin dal 1994 per una legislatura da deputato del Partito comunista italiano (1987-1992).
La Camera chiede indietro anche i sette mesi di pensione che l'amministrazione aveva già erogato da quando, nel maggio del 2013, il cantante fu chiamato alla guida degli autori e degli editori. Lui restituisce subito i soldi, ma ricorre. Senza successo, come decretano i deputati-giudici Tancredi Turco, Alberto Losacco e Antonio Marotta.
Da allora, intanto, tutto è tornato alla normalità. Nel febbraio del 2015 Paoli, indagato per evasione fiscale, si è dimesso dalla presidenza della Siae e per questa ragione ha ripreso a ricevere il vitalizio. Ma a quei quarantaduemila euro dovrà comunque rinunciare. E non è detto che in futuro la condizione di chi percepisce la pensione da ex parlamentare non peggiori. Proprio Turco, di Alternativa libera, ha presentato una proposta per equiparare le regole dei vitalizi a quelle dell'Inps: "Fino ad oggi - sottolinea il deputato ex grillino - per i parlamentari è previsto un coefficiente molto più vantaggioso di quello utilizzato per tutti gli altri comuni mortali. Vogliamo che in futuro non accada più".
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