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Marco Giusti per Dagospia
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Cannes. E’ davvero impressionante il numero di opere prime e seconde al femminile che si vedono in questi giorni a Cannes. Nell’interessante “How To Have Sex”, opera prima scritta e diretta dall’inglese Molly Manning Walker, molto attiva come direttrice della fotografia, appena passato a Un Certain Regard, sono di scena tre ragazzette del liceo, interpretate dall’esplosiva Mia McKenna-Bruce,Enca Lewis e Lara Peake, che vanno in vacanza in Grecia, a Malia, in cerca di sballo e di sesso.
Come dice appunto il titolo. Ma non funzionerà tutto come previsto. Perché le cose sono più complicate di come le pensano le ragazzette che si preparano a quella che definiscono da subito la migliore vacanza della loro vita. Quasi a metà tra il ben più scatenato “Spring Breakers” e il molto più triste “Aftersun”, senza moralismi, mostra anche l’impreparazione alla vita di questi ragazzi e ragazze che non sanno andare oltre il bere, fumare e vomitare. Il personaggio di Tara, cioè di Mia McKenna-Bruce, che sembra il più forte, sarà quello che maggiormente si scontrerà con la realtà del rapporto uomo-donna nelle feste con scopate che non possono che finire come le feste di Grillo junior in Sardegna.
E’ violenza, non è violenza? Tara è partita con l’idea di scopare. Lo fa malamente, perché viene scopata controvoglia da un bulletto che non era il ragazzo che voleva lei. Lo racconta anche alle amiche. Ma non è certo questo quello che voleva. Inutile che vi dica che non c’è un libro, un ragionamento tra di loro, solo preparazione allo sballo e feste assurde. Tra questo film e “Aftersun” viene fuori un ritratto desolante degli inglesi alle prese con il loro tempo libero e del loro livello culturale.
Ovviamente il cuore del film è nella svolta che le cose prendono quando, tra un vomito e l’altro, si materializza il fare sesso del titolo. Che non è quello che pensavano Tara e le sue amiche. Presentato in concorso, molto amato dal pubblico, “Bael & Adama” della senegalese-francese Ramata-Toulaye Sy, è ancora un ritratto di giovane donna che non si arrende alle logiche culturali e tribali del suo villaggio. La bella Banel, interpreta da Khady Mane, adora il suo uomo Adama, Mamadou Diallo, ma non accetta l’idea di fare figli con lui, né di umiliarsi come moglie taciturna.
Non vuole che lui diventi capo villaggio, come vuole la tradizione, e pensa che possono vivere insieme da un’altra parte, lontano da tutti. Da parte sua Adama è legato alle tradizioni e alle credenze della sua gente, vive un mondo più animistico dove le regole della vita sono legate a quello che si deve fare affinché non accadono problemi. Anche se i continui problemi del villaggio, la moria delle vacche (alla Totò), i maschi più grandi che muoiono uno dopo l’altro, danno ragione a Adama e a sua madre, Banel non accetta nessun compromesso.
Buon film, un po’ compitino tribal-femminista, sia come sceneggiatura che come messa in scena, sembrava molto spinte dai cinematografi francesi.
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