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CANNES AL VENTO – CERIMONIA D'INAUGURAZIONE DEL 72MO FESTIVAL TRA GNOCCHE IN ABITO DA SERA, L'OMAGGIO AD AGNÈS VARDA E FRECCIATINE A NETFLIX, IL GRANDE ESCLUSO – IL PRESIDENTE DELLA GIURIA IÑÁRRITU CONTRO I MURI E IN DIFESA DEI “FRATELLI MESSICANI”, ELOGIA LA DIVERSITÀ E ASSOLVE IL GIGANTE DELLO STREAMING: “ESISTONO MOLTI MODI DI VEDERE IL CINEMA, LA SCELTA SPETTA AL PUBBLICO. A NETFLIX IL MERITO DI DIFFONDERE MOLTI FILM CHE DIFFICILMENTE ARRIVEREBBERO IN SALA”
Gloria Satta per “Il Messaggero”
yorgos lanthimos, alejandro gonzalez inarritu e enki bilal
L'INAUGURAZIONE CANNES Abiti da sera, musica, l' omaggio ad Agnès Varda (raffigurata sul manifesto ufficiale), un inno alla sala e una frecciata al grande escluso da Cannes, il gigante dello streaming: «Il cinema è un' esperienza collettiva, non è guardare Netflix mangiando la pizza», ha detto il comico francese Edouard Baer presentando ieri sera la cerimonia d' inaugurazione del 72mo Festival, trasmessa in diretta su Canal Plus e in 600 sale francesi. È toccato a Javier Bardem e Charlotte Gainsbourg dichiarare ufficialmente aperte le danze.
Risate e applausi hanno poi accolto gli zombie cannibali dell' horror I morti non muoiono, satira graffiante dei pregiudizi degli americani firmata da Jim Jarmusch. Affollato il red carpet con tutti gli attori del film, da Bill Murray ad Adam Driver, da Chloe Sevigny e Selena Gomez fino all' icona di stile Tilda Swinton scintillante d' argento, mentre la giurata Elle Fanning era in raso rosa stile principessa Disney.
L'ALFIERE In prima fila la Giuria guidata da Alejandro Gonzàlez Iñárritu, «il primo presidente barbuto nella storia del Festival», ha scherzato il delegato generale Thierry Frémaux. Estroverso e carismatico, 55 anni, debuttante sulla Croisette giusto vent' anni fa con la sorprendente opera prima Amores Perros, il regista è l' alfiere, insieme con i colleghi e amici Guillermo Del Toro e Alfonso Cuaròn, di quella new wave messicana che negli ultimi anni ha rivoluzionato Hollywood rastrellando l' 80 per cento degli Oscar.
Dei tre maestri è l' unico a non aver ancora ceduto alle lusinghe di Netflix eppure, a Cannes, non ha scagliato l' anatema contro il nemico tuttora bandito dalla competizione. «Non sono contro gli schermi digitali anche se il cinema visto in sala è tutta un' altra cosa: nasce come esperienza collettiva e solo come tale ha veramente senso», ha detto, «ma i tempi cambiano e 200 anni fa nessuno avrebbe potuto prevedere che avremmo ascoltato Beethoven in automobile. Esistono molti modi di vedere il cinema, la scelta spetta al pubblico. A Netflix va riconosciuto il merito di diffondere nel mondo intero molti film che difficilmente arriverebbero in sala».
CONTRO I MURI Iñárritu è la prima personalità latinoamericana a presiedere la Giuria di Cannes dove in passato ha presentato Babel e Biutiful. E due anni fa, sulla Croisette, fece scalpore Carne y Arena, la sua installazione che attraverso la realtà virtuale proiettava fisicamente ed emotivamente gli spettatori tra i migranti messicani inseguiti dalla polizia al confine con gli Usa.
«Quell' opera», ha spiegato il regista, «rappresentava la mia reazione a quello che succede oggi nel mondo. Sono un artista, non un politico, e racconto quello che sento». Vale a dire? «Erigere muri, rinforzare le frontiere è sbagliato e pericoloso, proprio come perseguitare le persone indifese che fuggono dalla violenza e finiscono poi inghiottite dalle sabbie del deserto o annegate in mare. Invece i governanti ci raccontano un' altra storia.
Siamo in un momento pericoloso che evoca il 1939 e l' ascesa del nazismo. Conosco i migranti e so che i pregiudizi nei loro confronti nascono dall' ignoranza, specie in Paesi come l' America che vede solo il cinema nazionale e non sa cosa succede altrove». Parla della politica di Donald Trump?
«In America sono stato accolto a braccia aperte e ho sempre potuto fare il mio lavoro in condizioni privilegiate. Ma soffro quando vedo che i miei fratelli messicani, anche quelli che vivono negli Usa da anni, non hanno gli stessi diritti».
I RIFLETTORI Ecco perché, continua il regista di Birdman, il Festival è necessario: «Punta i riflettori sulla diversità». E lui, «onorato ed eccitato» di presiedere la Giuria, è deciso non tanto a giudicare le opere dei colleghi in corsa per la Palma d' oro: preferisce lasciarsi «impregnare» dalle loro emozioni.
«L' ideale sarebbe non sapere chi sono gli autori dei film che vediamo... Stiamo per intraprendere un bellissimo viaggio emotivo e i premi li decideremo tutti insieme. Spero di uscire da questa esperienza trasformato».
Non vedono l' ora di cominciare anche gli altri giurati: Enki Bilal, Maimouna N' Diaye, Yorgos Lanthimos, Kelly Reichardt, Robin Campillo, Pawel Pawlikowski, Elle Fanning e la nostra Alice Rohrwacher. Che ha parlato della disparità di genere, tema di attualità anche al Festival.
«Quando mi domandano cosa si prova ad essere una donna regista», ha detto, «rispondo che è inutile chiedere a un naufrago perché sia sopravvissuto. Bisognerebbe rivolgersi a chi ha fabbricato la nave, a chi ha venduto i biglietti. Le cause della disparità vanno ricercate indietro nel tempo, non ha senso parlarne all' ultimo momento».
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