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1 - DEI DELITTI E DELLE PENE DI CARCERE E RIEDUCAZIONE
Concita De Gregorio per “la Repubblica”
Anche io mi chiedevo come mai non si fosse accesa nessuna discussione sull'ergastolo ai due giovani americani giudicati per l' uccisione del sottufficiale dei carabinieri Mario Cerciello Rega. Una discussione aperta, immaginavo, sul senso di condannare a vita due persone di vent' anni rispetto a quel che indica la Costituzione all' articolo 27: "Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Poi ho letto sul Foglio Adriano Sofri, che accantona "considerazioni azzardate" sull'ipotesi che la Corte sia stata drastica "per risarcire la vittima e con lei l'Arma dalle ombre sollevate sulla vicenda".
Gabriel Christian Natale Hjorth
O per dissipare il dubbio di qualche compiacenza verso due cittadini americani. O che abbia deciso per una sentenza esemplare in prima istanza, perché tanto l'appello provvederà a smussarla. Escluse queste eventualità, bisogna concludere che lo Stato non ha nessuna fiducia che due ventenni, negli almeno sessanta successivi di aspettativa media di vita, possano attraverso il carcere essere "rieducati". Dato che è ancora questa, giusto?, in uno stato di diritto che non contempla la pena di morte, la finalità della condanna.
Pensavo a una discussione che non entra nel merito del reato commesso, non giudica la corte che giudica, non riesamina le vite dei condannati, quella della vittima o, per dire, di Sofri. Niente di tutto questo. Solo, in teoria: a cosa serve il carcere.
Perché se serve a punire, certo, e insieme a rieducare ci sarebbe da chiedersi in che senso si possano rieducare due ventenni (uno dei due all'epoca appena maggiorenne) chiudendoli in una cella a vita. È solo una domanda, non contiene risposte. Pensavo di chiedere in giro, ma può darsi che sia meglio di no.
gabe natale finnegan lee elder 2
2 - «CARCERE INUTILE A RIEDUCARE». «NO, SERVE»
Il carcere come strumento di rieducazione e repressione è superato? Ne è convinto un ex pm eccellente, Gherardo Colombo: in questo incontro con Vittorio Occorsio, il cui nonno, omonimo, fu ucciso dai terroristi di Ordine Nuovo nel 1976, spiega perché. Il dialogo (di cui qui pubblichiamo un’anticipazione) sarà trasmesso in occasione di un dibattito organizzato dalla Fondazione Occorsio all’interno del Festival della Giustizia Penale che si terrà in modalità mista (web e presenza) dal 21 al 23 maggio.
OCCORSIO: «Lei è un convinto assertore dell'inutilità del carcere sul piano della rieducazione del condannato».
COLOMBO: «Mi sono convinto che il carcere, così com' è, non aiuta chi lo subisce a reintegrarsi positivamente nella società e non ci aiuta ad essere più tutelati. La mia opinione è che chi è pericoloso sta da un'altra parte, con tutti i diritti costituzionali che non confliggono con la sicurezza, e ci sta fin tanto che è pericoloso; per gli altri, il carcere non serve. È la Costituzione - che, agli articoli 3 e 27, assicura pari dignità a tutte le persone - a imporre che la pena non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Inoltre, la funzione rieducativa della pena significa che l'aver commesso un delitto non necessariamente richiede, per rieducarsi, il carcere».
GHERARDO COLOMBO SI FA LA SUA ONG RESQ - PEOPLE SAVING PEOPLE
O: «L'articolo 27 della Costituzione viene a volte, non da lei, invocato in maniera piuttosto vaga. La norma non dice che la pena serve solo alla rieducazione del condannato. Ma che deve "tendere" alla rieducazione. Quest' ultima non esaurisce la funzione della pena. Nessuno qui vuole dire che la pena debba comportare violenza o soprusi. Ed anzi sono convinto che la sicurezza nelle carceri, così come un'edilizia più accogliente, siano elementi su cui valutare il grado di civiltà di una nazione. Ma sono altrettanto convinto che la privazione della libertà per i criminali sia un sacrificio imposto a garanzia dei cittadini. Anche quando la condanna arriva a molti anni dal reato».
C: «Vogliamo guardare ai risultati? L'alto numero di recidive fa sì che vi siano nuovi reati, che la collettività ne continui a soffrire».
O: «Però, mi consenta, occorre anche rispettare il punto di vista delle vittime, o no?»
C: «Ma è proprio l'attuale sistema a non interessarsi delle vittime. Nella giustizia riparativa, invece, la vittima è un interprete principale, attraverso la ricucitura della relazione che il reato ha troncato. Il male consiste in quello: nella negazione della relazione sociale, nel rifiuto dell'altro e conseguentemente nel calpestarlo».
O: «Perché chiedere ai familiari delle vittime di doversi far parte attiva, oltreché della memoria - che già richiede alto senso di responsabilità per tornare sul dolore patito - anche di questo processo di riconciliazione con i carnefici?»
C: «La giustizia riparativa è su base volontaria, nessuno può esservi costretto. Ma torniamo alla pena. In alcuni Stati degli Stati Uniti c'è ancora la pena di morte, eppure lì si uccide circa 8 volte più che da noi. Non è che la pena di morte educhi all'omicidio? Occhio per occhio rende il mondo cieco, diceva Gandhi. Occorre separare le conseguenze della trasgressione dalla vendetta. È ben più faticoso compiere un percorso di mediazione, di giustizia riparativa, che essere costretto a starsene 20 ore al giorno sulla brandina della cella».
O: «Non c'è nessun desiderio di vendetta. Mio padre ha anche scritto un libro, in forma di lettera a me, "Non dimenticare, non odiare". Il mio coinvolgimento non deriva da essere nipote di mio nonno. Direi le stesse cose comunque. Qui si discute di quale sistema assicura al meglio l'incolumità propria, dei propri cari, dei propri beni. Sono le alternative al sistema penale attuale che mi preoccupano».
C: «La giustizia riparativa viene praticata in molti Paesi con successo, ci si deve misurare con la realtà. Gli studi parlano di una decrescita della recidiva del 25%».
O: «Sperando che non vi sia, in questa statistica, una base maggiore di reati...».
C: «Non è così. Ho fatto il repressore per 33 anni, e mi sono dimesso anche perché finalmente ho compreso che questo sistema carcerario è contrario all'umanità, oltre ad essere inutile».
UN DETENUTO NELLE CARCERI ITALIANE
O: «Ma non possiamo semplicemente migliorare le carceri e sperimentare nuove forme di rieducazione? La Fondazione intitolata a mio nonno svolge anche iniziative nelle carceri, specialmente nelle scuole dei detenuti. Umanità del carcere e sistema repressivo vanno di pari passo».
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