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Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera”
Addio sogni di gloria fuori tempo massimo. La Corte di Cassazione ha stabilito che, una volta conclusi gli studi, un figlio ha il dovere di rendersi autonomo dai propri genitori e cercarsi un'occupazione in grado di mantenerlo. Anche se non rispecchia i propri sogni.
Perché, spiegano i giudici, «un figlio non può pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti, in vece sua, soltanto il genitore». L'assegno di mantenimento, aggiungono, «non è una copertura assicurativa».
E spetta al ragazzo dimostrare che ne ha ancora bisogno o perché sta facendo di tutto per trovare lavoro o perché dimostra, ad esempio con il merito nello studio, che ne ha ancora bisogno. Il principio è stato stabilito nella sentenza 17183 della prima sezione civile della Suprema Corte, presieduta da Maria Cristina Giancola, che ha respinto il ricorso di una donna, contro la decisione della Corte d'appello di Firenze del 29 marzo 2018, di revocare l'assegno del ragazzo (ridotto da 300 a 200 euro) e l'assegnazione della ex casa familiare.
Insegnante di musica precario, con le supplenze il giovane guadagnava una media di 20 mila euro lordi l'anno. Uno scenario ormai consueto.
A 30 anni però (ormai diventati 35) secondo la Cassazione non può più pensarci il babbo. C'è bisogno di passare da un'ottica di assistenzialismo a quella di una diffusa autoresponsabilità. E, per questo, spetta al ragazzo «ridurre le proprie ambizioni adolescenziali».
I figli non possono approfittare «in malafede» del genitore. E commettere così un abuso di diritto. Il giudice di primo grado aveva accennato al fatto che il figlio maggiorenne era «insegnante precario che conclude meri contratti a tempo determinato, come tale di fatto incapace di mantenersi».
E aveva aggiunto che «l'impiego deve essere all'altezza delle sue professionalità ed offrirgli un'appropriata collocazione nel contesto economico sociale adeguato alle sue aspirazioni». In mancanza di ciò, «l'obbligo di mantenimento permane». La Corte d'appello aveva ritenuto, invece, che «l'obbligo va messo in relazione alla capacità di mantenersi».
E dopo i trent' anni va presunta per chi non ha deficit, come avviene in tutte le parti del mondo». In Italia il 64,3% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni - dicono i dati Istat relativi al 2019 - vive in famiglia con almeno un genitore. La Suprema Corte ha accolto la linea della Corte d'appello. E ha stabilito che «dimostrare che si ha ancora diritto al mantenimento è a carico del richiedente».
E se sussiste «uno stile di vita volutamente inconcludente o sregolato oppure l'inconcludente ricerca di un lavoro protratta all'infinito, il figlio non avrà certo dimostrato di avere diritto al mantenimento». Ne deriva quindi, concludono i giudici, «che la prova del diritto all'assegno di mantenimento sarà più gravosa, man mano che l'età del figlio aumenta». A 35, a quanto pare, si è fuori tempo massimo.
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