DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1. «C’È UN VIDEO CHE TI RIGUARDA... CAPII CHE LA FINE ERA VICINA»
piero marrazzo - storia senza eroi
Pubblichiamo un estratto di «Storia senza eroi», il libro di Piero Marrazzo in uscita oggi per l’editore Marsilio. Giornalista ed ex politico — è stato presidente della Regione Lazio dal 2005 al 2009 — Marrazzo racconta il romanzo della sua vita, segnata dall’imboscata che 4 carabinieri infedeli (poi condannati nel processo in cui lui è stato parte lesa) gli tendono nel luglio del 2009 sorprendendolo in un appartamento di via Gradoli, a Roma, con una prostituta trans per poterlo ricattare.
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«C’è il presidente Berlusconi in linea, glielo passo?». Con voce squillante, amabile come sempre, stava per passarmi l’uomo che con la sua telefonata avrebbe squarciato il velo con il quale avevo avvolto ciò che mi era accaduto a luglio.
«Pronto, presidente, eccomi, come stai» dissi io, in un esercizio di comunicazione tra il rispettoso e il colloquiale, come sempre bisogna fare quando si parla con il presidente del Consiglio o un’alta carica dello stato.
«Bene. Senti, devo parlarti di una cosa che sicuramente sai, che conosci, la questione...» Non disse altro, pensò che quelle poche parole fossero sufficienti a mettermi immediatamente in allerta. Passarono alcuni secondi – ma saranno stati veramente secondi? –, poi risposi: «Presidente, scusa, puoi farmi capire meglio? » Berlusconi comprese – l’intuito non gli mancava – che ero disorientato, e soprattutto che il mio disorientamento era autentico, non stavo fingendo.
«Guarda, è un fatto delicato. Dalla Mondadori mi hanno avvisato che un’agenzia fotografica, con la quale collaborano, li ha informati che c’è un video che ti riguarderebbe. Un video particolare, ti faccio avere il numero. Mi dicono anche che è registrato male, altri particolari non li conosco. Me l’hanno confermato i responsabili giornalistici che l’hanno visionato. Fai contattare l’agenzia, sono disponibili. Ci tenevo a informarti di persona»
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«Ho capito, ho capito... Non so proprio a quale video si riferiscano, cercherò di comprendere meglio, comunque grazie dell’informazione.» (…) Mi abbandonai sulla poltrona, afflosciato nella sua struttura pensata per avvolgere e sostenere una persona che lavora, e non chi cercava la forza, che non aveva, di trovare un appiglio cui aggrapparsi. (…) «Piero, hanno chiamato due giornalisti. Entrambi parlano di una notizia clamorosa che circola in tribunale a Roma, e dicono che ti riguarderebbe, anche se non se ne conoscono i dettagli. Parlano di un video...» La prima reazione, come sempre, fu il silenzio, ma la botta arrivò, facendomi precipitare nel vuoto.
«Cerca di capire di cosa si tratta.» Presi tempo, consapevole che la fine era vicina. Per il tardo pomeriggio era previsto un mio intervento all’Auditorium del Parco della Musica di Roma, durante un incontro organizzato con il mondo del cinema e della televisione. Stavamo per varare provvedimenti importanti, attesi da anni.
silvio berlusconi parla al cellulare
Salii sul palco, senza lasciar trasparire nulla. Il piglio, mentre parlavo, era deciso: ormai ero come un attore che recitava un copione, consapevole che quella era l’ultima rappresentazione.
(…) Imboccai i corridoi: stavo uscendo di scena, ma loro non lo sapevano. Arrivato a casa, andai subito a dare il bacio della buonanotte a Chiara, la figlia più piccola, e dopo sentii al telefono le altre due, Giulia e Diletta: vivevano in un’altra casa con la madre Isolina, la mia prima moglie.
Sembrarono delle telefonate come ne avevamo fatte tante, solo ero io a non essere più lo stesso. Mi mandarono il bacio della buonanotte, e io risposi al loro affetto con un «ciao» accompagnato da due «vi voglio bene».
(…) Avevo paura di perderle, sapevo che un giorno avrei dovuto affrontare con loro ciò che era accaduto, parlare di me. Subivo una pressione fortissima, il tempo era scaduto. «Appena chiudo la seconda conversazione, il telefono squilla di nuovo. “Piero, ma cosa sta succedendo?” È Francesco, il segretario della giunta regionale, un altro al quale mi lega un rapporto forte e speciale, sotto il profilo umano. “Mi ha fermato il vicedirettore di un grande giornale, domani mattina pubblicheranno un articolo su di te. Ci sarebbe un video, parla di incontri con trans, cocaina, ricatti.”
Vorrei dire qualcosa, ma non ci riesco. “Francesco, ne parliamo domani dopo che abbiamo letto i giornali” gli rispondo. Intanto, nella redazione del Tg3 , dove sta lavorando, mia moglie vive dei momenti che non meritava di vivere: apprende dai giornali che saranno in edicola il giorno dopo quello che avrebbe dovuto sapere da me.
Mi chiama angosciata, mi chiede spiegazioni, poi torna a casa. Capisco cosa significa sentirsi un vigliacco: l’ho lasciata inerme e sola, un compagno di vita non può farlo, non deve farlo. (…) Mi si stringe il cuore quando ci ripenso: era come una leonessa, Roberta, nel difendere la sua cucciola. E altrettanto faceva Isolina, con Giulia e Diletta. (…) Mi sentivo messo fuorigioco, come padre ma non solo.
(…) «Venerdì 23 ottobre sono un uomo che barcolla: ho perso lucidità, sono una persona terrorizzata, spaventata, che procede a strappi. Quando ho riavvolto il nastro di quelle ore riflettendo insieme a Pino, il capo della segreteria, con il quale ho iniziato a fare politica alla fine degli anni Settanta, lui ha stretto i pugni per smorzare la tristezza e la rabbia e poi mi ha detto: “Non eri più il leader che conoscevamo, non guidavi e non dettavi la linea.” (…)
«Tornato da Palazzo Chigi, trovo nella mia stanza il gruppo ristretto, quello che in inglese si definisce inner circle, le donne e gli uomini con i quali ho condiviso cinque anni, l’esperienza della guida della Regione. Mi accorgo che hanno volti segnati e al tempo stesso stupiti, come se ai loro occhi si palesasse una persona diversa, per certi aspetti sconosciuta.
Luca, un grande amico, un fratello che tu conosci bene, il mio avvocato da sempre insieme a Massimo, si avvicina e mi allunga dei fogli. È il verbale della mia deposizione di due giorni prima. In quella stanza adesso sanno tutto, fuori da quelle mura si conosce ogni cosa.
Mi ricordo Michele che si avvicina, quasi sottovoce mi dice: “Adesso capisco il senso della frase che mi hai detto in macchina dopo aver parlato con il magistrato: ‘Finalmente mi sento libero, la mia coscienza si è liberata’”, e sorride tristemente. “Perché non me l’hai detto?” chiede poi. “Mi vergognavo” rispondo io, e mi affloscio sulla sedia sbattendo con violenza un pugno sulla scrivania. Tutti si voltano e mi guardano ammutoliti.»
2. GIULIA MARRAZZO “HO TEMUTO PER LA VITA DI MIO PADRE PIERO ORA BASTA GIUDICARLO”
Estratto dell’articolo di Eleonora Capelli per “la Repubblica”
[...] Giulia Marrazzo è la figlia di Piero, giornalista ed ex presidente della Regione Lazio che nel 2009 diventò la prima notizia di tutti i telegiornali: trovato in compagnia di una prostituta transessuale in un appartamento di via Gradoli, filmato da carabinieri che poi verranno condannati per questo, è costretto alle dimissioni e vede la “vita di prima” finire in un pomeriggio. Il libro “Storia senza eroi”, edito da Marsilio, che esce oggi in libreria, è scritto insieme alle sue tre figlie che l’hanno “aiutato a rialzarsi dalla caduta”.
Giulia, lei all’epoca aveva solo 19 anni e quando capì che una valanga irrefrenabile stava arrivando, per istinto andò in Regione, per stare vicina a suo padre. Non prevalse la rabbia per la vostra vita sconvolta?
«Credo che il titolo del libro sia rivelatore: le categorie vittima e carnefice in questa vicenda non esistono. Non abbiamo mai visto nostro padre come carnefice, noi non siamo state le sue vittime. Da figlia per me quel giorno, ricordo che era un venerdì, fu il momento di amare nell’esserci […]»
Le sfumature non esistono quando si diventa “la prima notizia dei telegiornali”, come lei spiega bene. Non si è mai pentita di essere rimasta al fianco di suo papà?
«Non c’è stato da pensarci, non c’era da rifletterci, la sofferenza è stata quella di chi è sottoposta a un attacco violentissimo, ma io sono felice di esserci stata, quel giorno e nei giorni che sono seguiti. […]Questo libro rimette in fila un po’ di cose, ma soprattutto cerca l’onestà intellettuale. Non facciamo le vittime, qualcosa non è andato, da figlie abbiamo percepito lo scatenarsi di un attacco verso nostro padre e noi».
Lei racconta nel libro di aver sentito un ragazzo seduto al tavolino di un bar commentare: “Almeno Berlusconi se le tromba fregne, hai visto Marrazzo i mostri che si scopava?” Poi i manifesti, le scritte sulle macchinette, le frasi volgari a scuola. Ci fu un giorno in cui ha temuto che suo padre fosse morto, perché in tanti le dicevano che si sarebbe ammazzato…
Piero Marrazzo con le figlie Chiara Giulia e Diletta
«È stata durissima, un giorno ho avuto paura che mio papà fosse morto, perché la tata di mia sorella mi rispose al telefono singhiozzando. Nel caso del ragazzo del bar, ho rovesciato il tavolino. Ci sono stati momenti di rabbia, anche risposte più signorili, dipendeva dalla giornata e anche dal tono della conversazione. Ma non mi sono mai nascosta, non mi sono chiusa in bagno a piangere, andavo a viso aperto ripetendo il mio cognome. C’era chi capiva e poi c’erano i maleducati.
Ma io che avevo 19 anni, ero comunque la sorella più grande, dovevo difendermi, ho potuto farlo solo amando mio padre e le mie due sorelle. Siamo unite, non abbiamo avuto dubbi, pur non facendo sconti. Non abbiamo mai lasciato solo nostro padre, è quello che facciamo anche oggi. C’è un punto di protezione che a un certo momento arriva».
Lei crede che la vostra vicenda possa parlare ad altri giovani, in un’epoca di linciaggi mediatici molto frequenti?
«Il giudizio sulle vite private e personali è il male. Io da cronista, lo sospendo sempre. Ognuno ha i propri occhi, un osservatore può dire la sua, ma generalizzare è sbagliato, il giudizio può davvero travolgere le persone. Posso dire, per esserci passata, che dietro ai titoli dei giornali ci sono vite, nomi, cognomi.
Mi rivolgo a chi subisce attacchi violenti: nessuno deve più sentirsi solo, il giudizio degli altri non ci identifica, non bisogna lasciarsi schiacciare da quel peso. Capita di finire sotto tiro per molti motivi diversi a giovanissimi, donne, membri della comunità Lgbtq. A chi scaglia la prima pietra vorrei far arrivare le mie parole».
Lei ha scelto di fare la giornalista, come suo padre e suo nonno, la cui storia viene ripercorsa nel libro insieme a quella di altri “silenzi” mantenuti in famiglia che ora vengono rivelati. Perché?
«Sono ancora precaria ma guidata da una grande passione, credo che sia il mestiere più bello del mondo e la definizione che vorrei per me è: che brava cronista […]».
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