DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Marco Respinti per Libero
Gli occhi sbarrati di Charles Manson sono diventati t-shirt e gadget, film e fumetti fatturando svariati milioni di dollari. Ora però l' assassino più pop del mondo sta male, malissimo. A 82 anni, 45 dei quali passati nella prigione statale di Corcoran, in California, per scontare una condanna all' ergastolo, è stato trasferito all' ospedale di Bakersfield, a un centinaio di chilometri. Nessun' agenzia sa dire cosa gli sia capitato. Il che alimenta la voglia di mistero sul conto di questo personaggio, tipico esempio di realtà che supera la fantasia.
Nato a Cincinnati, in Ohio, nel 1934 da un padre sconosciuto e da una madre prostituta e alcolizzata, è il simbolo più inquietante della controcultura dei Sixties. Cresciuto tra furti e rapine, finisce più volte in carcere e dietro alle sbarre comincia a interessarsi di occultismo e ipnosi. Libero nel 1967, si dà alla musica nel pieno della stagione psichedelica.
A San Francisco crea una setta, The Family, composta soprattutto da ragazze, che, tra rapine, droga e sesso di gruppo, lo considerano un santone; del resto lui ogni tanto si definisce dio oppure una reincarnazione di Gesù. Ma in realtà è un fallito, frustrato perché il suo talento musicale più di tanto non convince. Quando nel 1969 passa alle maniere davvero forti, raggiunge il culmine propiziando prima, il 31 luglio, l' omicidio di Gary Hinman, un insegnante di musica, poi, il 9 agosto (a pochi giorni dalla Summer of Love dei freak di Woodstock), quello dell' attrice Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, all' ottavo mese di gravidanza.
Oltre alla Tate e al suo bambino, vengono efferatamente ammazzate altre quattro persone, e il giorno seguente ancora due. Manson dice d' ispirarsi a Helter Skelter, un brano del 1968 dei Beatles, che secondo lui è la stura alla diffusione del caos nel mondo. La sua fissa è infatti la guerra razziale, da scatenare assalendo i ricconi bianchi dei quartieri alti per poi far ricadere la colpa sui neri.
Nel marzo 1971 Manson, che non ha mai confessato le proprie responsabilità, viene quindi condannato a morte come mandante degli assassinii del 1969, salvo poi vedersi commutare la pena nel carcere a vita allorché, nel 1972, la California abolisce la pena capitale. Al processo si presenta con una X incisa sulla fronte che poi in carcere trasforma in una svastica.
Attorno a lui fioriscono rapidamente le teorie del complotto più pirotecniche. Lo si è voluto persino satanista, ma, nonostante alcuni contatti con quegli ambienti, il guru-assassino è piuttosto il frutto di un cocktail micidiale di sballo e invidia sociale, il prodotto - scrive il sociologo Massimo Introvigne in Satanism: A Social History (Brill, Leida 2016) - della sottocultura dello spaccio di droga e di una vita spesa per lo più in carcere.
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