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“CHIEDO PERDONO AGLI EBREI” – EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA SI SVEGLIA A 48 ANNI E SCRIVE UNA LETTERA ALLA COMUNITÀ EBRAICA ITALIANA: “NON CI RICONOSCIAMO IN CIÒ CHE FECE RE VITTORIO EMANUELE III: CI DISSOCIAMO FERMAMENTE, UN DOCUMENTO INACCETTABILE” – GIORDANO BRUNO GUERRI: “PERDONO AVREBBE DOVUTO CHIEDERLO IL SUO BISNONNO E NON LO FECE. IL NONNO UMBERTO II E IL PADRE. CHE COMUNQUE NON L'AVREBBERO OTTENUTO. GLI EBREI ITALIANI PAGARONO CON LUTTI E SOFFERENZE TROPPO GRANDI…”

Mirella Serri per "La Stampa"

 

famiglia savoia al pantheon

«Dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un'ombra indelebile per la mia Famiglia, una ferita ancora aperta per l'Italia intera». A nome di tutta la sua famiglia, Emanuele Filiberto di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele e di Marina Doria, pronipote del re Vittorio Emanuele III, ha scritto una sofferta lettera alla Comunità Ebraica Italiana nella quale si dissocia con grande determinazione dall'atto con il quale il bisnonno appose nel 1938 alle leggi razziali volute dal regime fascista e chiede «solennemente perdono».

ebrei nel campo di concentramento

 

L'iniziativa su cui ha a lungo meditato. E che rende nota nella ricorrenza del «solenne giorno della memoria», anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. E' un mea culpa, quello di Emanuele Filiberto, che arriva molto tardi. Arriva dopo oltre ottant' anni da quando Benito Mussolini fece promulgare la legislazione razzista anche per compiacere il suo «unico amico», Adolf Hitler. Fra i motivi della sua condanna delle leggi antisemite, il 48enne Savoia cita anche la memoria «dei numerosi italiani ebrei che lottarono con grandissimo coraggio sui campi di battaglia dell'Ottocento e del primo Novecento da veri Patrioti».

fossa comune di ebrei seconda guerra mondiale

 

Emanuele Filiberto spiega questo suo gesto pure con la volontà che quelle pagine terribili della storia italiana non vengano rimosse, che «la Storia non si cancelli, che la Storia non si dimentichi e che la Storia abbia sempre la possibilità di raccontare quanto è accaduto a tutti coloro che hanno fame e sete di verità». Nella sua missiva l'erede dei Savoia ricorda che non sono stati pochi i meriti acquisiti dalla sua famiglia nella costruzione dell'unità d'Italia: in particolare rammenta l'azione del suo avo Carlo Alberto, che nel 1848 fu tra i primi sovrani europei a dare ai suoi sudditi ebrei la piena uguaglianza di diritti.

mussolini vittorio emanuele III

 

Ricorda ancora che i nazisti non risparmiarono nemmeno la sua famiglia. Rievoca la scomparsa di Mafalda di Savoia nel campo di Buchenwald, dopo le atroci sofferenze a cui la condannarono le SS, e la deportazione di Maria di Savoia, anch' essa figlia di Vittorio Emanuele III, in un lager nei pressi di Berlino. Anche a proposito di Vittorio Emanuele III, Emanuele Filiberto spezza una lancia, perché il sovrano delle leggi razziali, 34 anni prima del l'«ombra indelebile» era andato in visita alla nuova Sinagoga di Roma e si era detto addirittura favorevole alla nascita di uno Stato ebraico, e aveva sostenuto: «Gli ebrei per noi sono Italiani, in tutto e per tutto».

 

In effetti il Re, che fra l'altro aveva un ebreo come medico di corte, siglò la legislazione «sulla difesa della razza» piuttosto a malincuore. Come scrisse il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, il Duce si era indignato con Vittorio Emanuele per la sua «pietà» nei confronti degli ebrei e aveva sostenuto che «in Italia vi sono ventimila persone con la schiena debole che si commuovono sulla sorte degli ebrei». Il Re aveva affermato di essere tra coloro che si commuovevano.

 

emanuele filiberto vittorio emanuele di savoia

La remissività e la debolezza manifestate in quell'occasione dal sovrano in parte riflettevano specularmente anche il consenso di cui godeva in quegli anni Mussolini, definito dal papa «l'uomo della Provvidenza». Vittorio Emanuele III legato al suo ruolo di sovrano costituzionale chinò il capo e accettò tutte le condizioni. Al di là della timida espressione del suo disagio, la testa coronata non prese nessuna iniziativa clamorosa per ostacolare quel provvedimento che privava gli ebrei di della libertà e poneva le premesse anche per privarli in molti casi della vita.

vittorio emanuele III

 

Giordano Bruno guerri per "Il Giornale"

 

Quando in Italia vennero promulgate le leggi razziali, nell' estate del 1938, Vittorio Emanuele di Savoia era un bellissimo bambino biondo di un anno e mezzo, che il principe Umberto esibiva orgogliosamente come futuro re d' Italia e imperatore d' Etiopia. Non lo sarebbe mai diventato, per nostra fortuna, viste le poco brillanti prove regali che ha dato di sé nel corso della vita. Né lo sarebbe diventato suo figlio Emanuele Filiberto, noto più per le sue attitudini mondane e televisive che per le idee.

 

Tuttavia a nessuno dei due si può imputare alcuna colpa per quanto fece il loro nonno e bisnonno, Vittorio Emanuele III, re vittorioso nella Prima guerra mondiale, poi responsabile di avere affidato il governo a Mussolini nel 1922 e di avere sottoscritto tutte le leggi del fascismo, quelle razziali comprese, nonché l' entrata in guerra al fianco di Hitler. Per non dire dell' obbrobrioso 8 settembre del 1943, con la fuga da Roma.

invito al boicottaggio dei negozi ebrei

 

In conseguenza dei provvedimenti razziali, i 47.000 ebrei italiani persero quasi tutti i diritti civili, il lavoro, i beni, la scuola. Poi vennero le deportazioni nei campi di sterminio nazisti.

Di tutto ciò Emanuele Filiberto è innocente, e anzi ha subito per decenni un sopruso dettato nientemeno che dalla nostra Costituzione (la più bella del mondo), là dove era scritto che «Agli eredi di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l' ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale».

 

UMBERTO II DI SAVOIA RE DI MAGGIO

 Punizioni del genere si leggono spesso nell' Antico testamento, ma i sacerdoti depistano saggiamente l' attenzione dei fedeli da quei passi. Soltanto nel 2002 fu consentito ai Savoia il ritorno in Italia, grazie a un civile provvedimento del Berlusconi II.

 

Ogni tanto Vittorio Emanuele si fa vivo con noi mancati sudditi, in genere nei periodi di grave crisi politica, per ricordare che in fondo il sistema monarchico non era così male e che la sua famiglia sarebbe pronta a riaccomodarsi sul trono. È un periodo di grave crisi politica anche questo, ma ora non voglio pensare male pure di suo figlio: mica per non fare peccato, perché sarebbe di cattivo gusto di fronte a una lettera limpida e ferma come quella che il mancato re e imperatore ha scritto alla comunità ebraica: alla quale «desidero oggi chiedere ufficialmente e solennemente perdono a nome di tutta la mia Famiglia.

GIOVANNI PAOLO II CON I SAVOIA

 

() Condanno le leggi razziali del 1938, di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle e con me tutta la Real Casa di Savoia e dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un' ombra indelebile per la mia Famiglia, una ferita ancora aperta per l' Italia intera».

 

«Chiedo perdono, ma non mi aspetto il perdono», ha dichiarato poi, ieri sera, in un' intervista al Tg5. Infatti i Savoia non lo avranno, quel perdono, tanto meno dalla comunità ebraica.

 

prigionieri ebrei

Avrebbe dovuto chiederlo il suo bisnonno, nei quattro anni che sopravvisse alla caduta del fascismo, e non lo fece. E avrebbero dovuto chiederlo il nonno Umberto II e il padre. Che comunque non l' avrebbero ottenuto. Gli ebrei italiani pagarono con lutti e sofferenze troppo grandi e ingiustificati perché li si possa cancellare, e il riconoscimento di una simile colpa non cancella il passato, come non lo cancellarono le richieste di perdono di Giovanni Paolo II agli ebrei e a tutti i perseguitati dalla Chiesa, per secoli e secoli.

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