DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Graziella Melina per “il Messaggero”
Che il virus per diffondersi prediliga gli ambienti chiusi era noto da tempo. Sul fatto che invece all'aperto avesse qualche difficoltà in più a passare da un soggetto all'altro gli scienziati lo hanno sempre ipotizzato, senza però arrivare a dati certi. A dare concretezza ad una questione finora solo dibattuta ci hanno pensato ora gli irlandesi.
Secondo l'Health Protection Surveillance Centre, la trasmissione all'aperto avviene in un caso su mille. I dati presi in esame dagli scienziati, dall'inizio della pandemia e fino alla fine del mese scorso, comprendono 232.164 casi di persone infettate. Dopo aver analizzato la catena di contagio e soprattutto i possibili focolai, i ricercatori hanno calcolato che le persone che hanno avuto contatto col virus all'esterno erano 262, ossia lo 0,1 per cento.
La conclusione degli irlandesi però non stupisce più di tanto la comunità scientifica che da mesi si arrovella alla ricerca delle vie di trasmissione del virus, senza però venirne a capo.
DATO ASSODATO «È un dato scientifico ormai assodato - spiega Antonio Ferro, presidente della Società italiana di igiene e medicina preventiva e sanità pubblica - che la contagiosità del virus dipenda dalla sua concentrazione nell'aria, che però all'aperto si riduce in maniera esponenziale». Non solo le droplet, ossia le goccioline più grandi, vanno tenute insomma a bada, ma anche l'aerosol, ossia quelle più piccole. E la consolazione, non di poco conto dopo mesi di restrizioni e chiusure, sta ora nella certezza che le attività all'aperto non sono rischiose, sempreché si rispettino le norme di sicurezza.
«Il covid è una malattia che si trasmette negli ambienti confinati e i dati anche nostri dicono che le occasioni di contagio sono sempre stati in ambienti chiusi - precisa Carlo Signorelli, ordinario di Igiene dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano - Nell'area esterna c'è una dispersione tale da non rappresentare un rischio, gli aerosol si diluiscono immediatamente nell'aria e non possono arrivare in quantità tali da costituire infezione, poiché la carica virale non è sufficiente. È logico che, se il contatto è stretto, può avvenire anche in ambiente esterno. Lo studio irlandese ci conforta se vogliamo riaprire quelle attività che sono a più basso rischio».
LE TRACCE A scovare con più precisione le tracce del virus in realtà ci avevano già provato anche ingegneri dell'università di Hong Kong ed erano arrivati alla conclusione che su 1.245 contagiati solo tre erano attribuibili a incontri all'aperto. In Gran Bretagna, l'Università di Canterbury ha analizzato invece 27mila casi di covid e il risultato è stato altrettanto confortante: secondo i ricercatori il numero di contagi all'aria aperta è quasi insignificante.
contagi covid non avvengono aria aperta
All'Università della California, invece, hanno stimato che il rischio di infettarsi all'esterno è di 19 volte più basso rispetto a un ambiente chiuso. In Italia, si sono cimentati nell'impresa del calcolo delle probabilità di contagio in luoghi esterni anche i ricercatori dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr e di Arpa Lombardia e hanno dedotto che la trasmissione del virus, nel nord Italia tra febbraio e maggio, all'aperto e lontano da assembramenti è «assolutamente trascurabile».
Anche Giorgio Buonanno, ordinario di Fisica tecnica ambientale all'Università degli Studi di Cassino e alla Queensland University of Technology di Brisbane (Australia) da quando è scoppiata la pandemia ha osservato il fenomeno della trasmissione dei contagi via aerosol e ha elaborato diversi studi anche su come minimizzare i rischi. «In ambienti aperti, se manteniamo una distanza di un metro e mezzo - spiega - non abbiamo alcuna possibilità di contagiarci. Il rischio c'è però quando ci si siede al tavolino, si sta di fronte ad un'altra persona e si parla, emettendo così molta più aria.
Per il teatro e il cinema all'aperto, basta invece un metro di distanza, perché lì in genere si resta in silenzio». Inutile dire che al chiuso le possibilità di contagio sono amplificate. «Abbiamo dimostrato come si possa arrivare ad avere l'80% dei casi di covid via aerosol negli ambienti indoor - precisa Buonanno - Mentre all'aperto, se non si ha un'esposizione prolungata e ravvicinata con un contagiato non c'è rischio».
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