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MILLENIALS BUG - SARANNO ANCHE PRECARI, IPERCONNESSI E DELUSI DAL FUTURO, MA I MILLENNIALS STANNO CAMBIANDO L’ECONOMIA MONDIALE - HANNO SMESSO DI COMPRARE CASE E AUTO: TUTTO E’ SHARING - E I GIOVANI STANNO DECENTRANDO LE ISTITUZIONI SCOLASTICHE, ISTRUENDOSI TRA DI LORO, PUBBLICANDO TUTORIAL SU QUALUNQUE ‘SCIENZA E CONOSCENZA’

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Carlotta Dotto per Dagospia

 

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Siamo i giovani del nuovo millennio, i giovani spacciati (e un po’ sfacciati) del tutto svelato e del niente celato, della religione totemica dell’effimero e dell’idolatria dell’immagine, dell’ergo sum come unico motore libidico. E ancora, siamo i giovani nell’universo del post imperialismo televisivo, del reale bidimensionale.

 

Del selfie stick come pratica, dell’effimero come dogma. Siamo i giovani dell’allucinante hypermercato delle insignificanze, inutili inesistenze, dove l’unica legge è la sostituibilità costante e indefessa. I giovani del fordismo in versione “si diventa famosi per essere famosi”, e un secondo dopo cenere. Siamo i giovani senza futuro, senza arte né parte. Siamo i giovani perduti, ancora prima di essere bruciati.

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Ma vi dirò un segreto: le cose non stanno esattamente così. Esiste qualcosa che questa generazione non svela di sé. Nel marasma annichilente che abbiamo ereditato, esiste una quinta dimensione destinata allo spessore, al corpo, alla materia. D’accordo, avremo pure i capelli rosa fumè e i corpi all-painted.

 

Avremo pure i salari più bassi degli ultimi 40 anni (secondo una stima del ‘New York Times’) e un’anemia di speranze nel futuro. Ma la vita dei millennial non si esaurisce tutta logged in. Per chi non ci è nato potrà sembrare un’assurdità, ma i modelli e le passioni reali corrono parallele a quelle riflesse nel web. Mentre gli adulti si stanno ancora domandando come ci rialzeremo da questo shock culturale, noi intanto studiamo, ci appassioniamo, ci riorganizziamo.

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Un articolo uscito nel dicembre 2014 sul ‘The Atlantic’ descrive come le nuove generazioni stiano innescando un cambiamento radicale nell’economia mondiale.  Un mutamento che, una volta arrivato, ha messo le radici e ha cominciato a diffondersi, allungando le ventose dei suoi tentacoli su ogni aspetto della realtà.

 

Nel 2010 in America la Ford proclamava sconfitta un crollo nelle vendite di auto del 38% tra i venti-trentenni degli ultimi anni. Mentre secondo la “National Association of Realtors” i gusti in campo immobiliare stavano cambiando, orientati sempre più al concept del mono-bilocale al centro di un nucleo urbano.

 

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Secondo l’articolo, i giovani d’oggi stanno iniziando a spendere i soldi in modo diverso. Possedere una macchina o una casa non è più uno status, mentre la condivisione è il nuovo click bait motore dei mercati. La sharing-economy ha spinto le industrie edilizie e automobilistiche a ripensarsi, a creare servizi accessibili ovunque, a chiunque, attraverso la tecnologia mobile e i sofware peer-to-peer.

 

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La rivoluzione digitale è parte integrante del nostro dna. Fatti i conti con questo, le braccia melmose che anestetizzano il passato, danno forma a nuovi linguaggi visivi, nuove estetiche, nuovi idiomi. Secondo una ricerca dell’Università di Stanford, i giovani d’oggi stanno iniziando a decentrare il ruolo delle istituzioni scolastiche, istruendosi tra di loro, pubblicando tutorial su qualunque ‘scienza e conoscenza’ riguardi la natura umana, dal countouring facciale, alle lezioni di filosofia sul post-umanesimo, all’how to play Bach. “Il loro dadaismo digitale ci fa sentire ininfluenti, incompetenti”, scrive Marino Niola su ‘Repubblica’.

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La piovra irrequieta raggiunge e scuote con il suo inchiostro i campi dell’arte, della moda, della cultura. Esempi a caso? Nel mondo del fashion il giovane Demna Gvasalia, classe 1981, viene nominato direttore creativo di Balenciaga e stravolge tutto e tutti. Il suo collettivo Vêtements inaugura un genere, copiato e scimmiottato da chiunque, dove le tradizioni dell’alta moda vengono rimpastate con lo streetwear contemporaneo con i suoi abiti oversize e destrutturati.

 

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Fino alla musica: nel 2015, il prestigioso giornale britannico ‘The Guardian’ ha dedicato l’apertura della sezione ‘Music’ al torinese ‘The Italian New Wave’, una piattaforma artistica patrocinata dal Festival Club to Club per promuovere la scena musicale underground in Italia. In poco tempo, la New Wave è diventata il primo non-luogo della penisola, dove una nuova generazione di musicisti è emersa e insieme sta dando vita a nuove forme di espressione e di ricerca che si ricollocano al centro del mercato discografico mondiale.

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Tra questi ricordiamo, il trap futuristico di Gang of Ducks, il trance concettuale del producer Lorenzo Senni, gli astratti beatmaker Vaghe Stelle e Ninos Du Brasil. Intanto a Roma, viene inaugurato all’Atlantico, il Festival Groove Music, il primo evento dedicato alla “Nu music”. Il genere, legato alle tradizioni del jazz, del funk, del soul e dell’hip hop, trova per la prima volta spazio in Italia, tra tradizioni, sperimentazioni on stream e tanto tempo impiegato a studiare sullo strumento, diventando la voce di una nuova generazione (la ‘Generation One’, dall’album esordio del cantautore ventiquattrenne Ainé) che mal sopporta il controllo di tutti i mezzi di produzione musicale in mano ai talent.

 

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A cavallo tra evanescenza e istinti primordiali, tra modelli albini e visual liminality, i millennial provano ad accantonare l’impasse raggelante della prospettiva del ‘senza futuro’ e riarticolano il contemporaneo riappropriandosi del proprio Desiderio. Sviluppano menti che, chi più chi meno, non sembrano aver paura di avventurarsi e sperimentare, di contaminare e lasciarsi contaminare, di ricreare e al tempo stesso muovere nel solco della tradizione. Coltivano l’enigma e il mistero come spazio sacro dove, chi si sente mancare di fronte alla vertigine di questo millennio, può ritrovare quel godimento autentico. Ok, forse non ci pagheremo l’affitto, mica male però come modo di abitare il mondo…

Lottie Haver foto di Ciro GalluccioLottie Haver foto di Ciro Galluccio

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