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Da "la Repubblica"
«Se potessi ancora oggi mi sostituirei al carabiniere Giangrande, mi farei carico della sua sofferenza». Sono state queste le ultime, disperate e commosse, parole di Luigi Preiti prima di essere condannato a 16 anni di reclusione per aver sparato ai due militari in servizio davanti a Palazzo Chigi il giorno del giuramento del governo Letta, il 28 aprile scorso. Aveva già chiesto scusa il disoccupato calabrese, ieri lo ha fatto, ancora una volta, in aula. Davanti al giudice e davanti alla figlia del militare che, per colpa sua, da mesi lotta per recuperare la normalità .
L'ha persino cercata con gli occhi Martina come a volerle dire che davvero gli dispiace per ciò che ha fatto. Come a volerle dire che quello è stato un giorno di follia. Lei, Martina, giovane e coraggiosa, ha ascoltato ma non ha alzato lo sguardo. Gli occhi erano fissi a terra mentre l'uomo che ha cambiato la vita sua e quella di suo padre chiedeva scusa.
E non li ha alzati nemmeno mentre il giudice per le indagini preliminari Filippo Steidl leggeva la sentenza che ha condannato Preiti a 16 anni per tentato omicidio plurimo, porto e detenzione di arma clandestina, disposto una provvisionale di 100mila euro e negato le attenuanti generiche. Una decisione, arrivata dopo una camera di consiglio durata due ore, che accoglie quasi in pieno le richieste del pubblico ministero Antonella Nespola, che non concede le attenuanti generiche e che, soprattutto, arriva dopo una perizia psichiatrica che non lascia dubbi sulla capacità di intendere e di volere di Preiti.
Per i consulenti del tribunale, quella domenica mattina di aprile, l'imputato era lucido e consapevole. Frustrato, depresso, magari, ma cosciente. Non ha convinto la linea della difesa che aveva invocato il vizio parziale di mente, quindi nessuno sconto di pena: per quella domenica Preiti dovrà pagare per i prossimi sedici anni.
Solo a quel punto Martina, già orfana di madre, alza lo sguardo. Gli occhi lucidi di chi, dopo tanto dolore, finalmente ritrova un po' di giustizia per quel padre che ancora sta in un letto di ospedale, ferito senza alcun motivo mentre lavorava.
Stringe la mano agli avvocati di Preiti, Raimondo Paparatti e Mauro Danielli, abbraccia il suo avvocato e si concede il primo sorriso. «Siamo soddisfatti, sono venuta qui a Roma per sentire con le mie orecchie cosa sarebbe accaduto. Tra poco lo dirò a mio padre, che è a Prato, visto che per il momento non sono riuscita a sentirlo», dice appena fuori dall'aula.
Così anche l'avvocato di Giuseppe Giangrande, Eliberto Rosso, che ha parlato di «sentenza giusta, quella che ci aspettavamo. Il giudice ha accolto tutte le richieste delle
parti civili. à la risposta per chi è stato colpito nello svolgimento del proprio dovere».
I legali della difesa, invece, già pensano all'appello: «Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza; certo è che faremo appello perché c'è tanto che non quadra. Ci pare di aver notato che il giudice non abbia riconosciuto quelle attenuanti generiche che la stessa procura aveva chiesto.
Se ne avesse tenuto conto, staremmo qui a parlare di una riduzione ulteriore di pena. Il giudice poi non ha evidentemente tenuto conto della nostra consulenza tecnica nella quale si è sottolineato come Preiti fosse affetto da una forte depressione e che questa patologia aveva inciso sulla sua volontà ».
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