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Valentina Errante per "il Messaggero"
La vita disgraziata di Vincenzo Gabriele Rampello, 24 anni, malato psichiatrico, abbandonato da piccolo dai genitori in una comunità, si è conclusa ieri mattina alle 11.30 in piazza del Progresso, a Raffadali, in provincia di Agrigento. Prima un proiettile da distanza ravvicinata alla testa, poi altri 8 al torace, quando era già a terra. E ancora sette, all'impazzata.
A sparargli un uomo incappucciato, fuggito dopo avere scaricato l'arma sul corpo esanime. Nessuno avrebbe mai immaginato che il volto travisato fosse quello di Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo della polizia in servizio al reparto Mobile di Catania. Il padre della vittima. I carabinieri di Agrigento, guidati dal comandante provinciale Vittorio Stingo, avevano subito sospettato che ad uccidere Gabriele potesse essere stato il marito di una delle donne che il giovane aveva assillato e stalkerizzato per anni.
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E invece, a poca distanza da quella piazza, dove il corpo era ancora a terra, hanno visto Gaetano Rampello, seduto sotto la pensilina delle fermata, in attesa della corriera. «Sei armato?», gli hanno chiesto i militari, scendendo dalle auto con le pistole in pugno. «Sì sono stato io», ha risposto il poliziotto. La vita di solitudine e ossessioni di Vincenzo Gabriele è finita così, per mano del suo stesso padre, esasperato dalle continue richieste di soldi e dalla violenza di quel figlio difficile, che né lui, né la moglie avevano voluto con sé, abbandonandolo quando era ancora piccolo.
LA CONFESSIONE «Mi ha telefonato chiedendomi 30 euro - ha confessato Rampello durante l'interrogatorio - quando glieli ho dati ha iniziato a insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli, prendendo altri 15 euro, di più non avevo in tasca. A quel punto ho avuto un corto circuito - ha ricostruito il poliziotto - e gli ho sparato non so quanti colpi». Al pm Chiara Bisso, l'uomo ha raccontato l'esasperazione che l'avrebbe spinto a uccidere: «Gli davo 600 euro al mese - ha detto - ma non gli bastavano mai, mi picchiava e minacciava sempre per i soldi».
L'APPELLO E l'allarme sul disagio dilagante arriva dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che coordina anche l'inchiesta sulla strage familiare, avvenuta a Licata la scorsa settimana: «I recenti episodi di tragica e inaudita violenza di questi giorni in provincia di Agrigento - sottolinea - hanno evidenziato malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema sociosanitario e assistenziale, non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività.
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Troppo spesso quelli che vengono definiti gesti di follia - denuncia Patronaggio - sono il portato di conflitti sociali e familiari che il sistema, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di contenere e arginare adeguatamente e legittimamente».
Non aveva avuto una vita facile Vincenzo Gabriele. I disturbi mentali si erano manifestati già nella prima infanzia. E quando i genitori si erano separati, lui era rimasto in un centro per bambini con disturbi mentali. Per anni, da solo. La mamma era andata a vivere a Sciacca, il papà a Catania, per lavoro. A Raffadali, era rimasto solo uno zio. Quando era cresciuto, Vincenzo Gabriele era andato a vivere per conto suo, la comunità dove aveva trascorso l'infanzia era riservata solo a ragazzi.
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A mantenerlo era il papà, una volta al mese da Catania andava a Raffadali. Ed erano sempre liti. Perché Vincenzo Gabriele voleva soldi e ancora soldi, l'elettronica era sua passione e voleva comprare tutti gli accessori di ultima generazione. «La città è sconvolta - commenta il sindaco di Raffadali, Silvio Cuffaro - Lo conoscevamo tutti, aveva una vita sociale un po' turbolenta, ma veniva accettato».
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