DAGOREPORT - 'STO DOCUMENTO, LO VOI O NON LO VOI? GROSSA INCAZZATURA A PALAZZO CHIGI VERSO IL…
Mara Rodella per il “Corriere della Sera”
Non era soltanto una «prova» di avvelenamento, per testare i dosaggi e gli effetti degli ansiolitici, circa tre settimane prima dall'omicidio. Ma un tentativo vero e proprio di omicidio. L'hanno ammesso, Silvia e Paola Zani, e Mirto Milani (fidanzato della prima e amante della seconda), nei lunghi interrogatori al pm in carcere: «Ad uccidere Laura, ci avevamo già provato, a metà aprile, mettendo i farmaci in una tisana dopo cena». Ma qualcosa è andato storto.
MIRTO MILANI, IL FIDANZATO DELLA FIGLIA MAGGIORE DI LAURA ZILIANI
Sarebbe stato proprio Mirto, all'epoca il meno convinto, a tirarsi indietro: «Non sono riuscito ad andare fino in fondo, ho avuto paura». Non quella volta, quantomeno. E sempre stando alle confessioni del «trio criminale» - rese in questi giorni dopo la chiusura dell'inchiesta a loro carico - è proprio allora, che hanno «scavato la fossa nel bosco» trovata poi dai carabinieri nel corso delle indagini, a pochi metri dal punto in cui il corpo di Laura Ziliani, ex vigilessa, vedova, e impiegata comunale a Roncadelle (Brescia) fu restituito dalla piena dell'Oglio tra le sterpaglie e i rovi, l'8 agosto di un anno fa. Troppo piccola, poco profonda e difficile da coprire in modo definitivo, però: i ragazzi non l'hanno mai usata.
mirto milani silvia e paola zani e laura ziliani
Fu la stessa Laura, in aprile, a raccontare di quella sonnolenza insistente e della spossatezza prolungata per circa 48 ore. Non le era mai capitato prima. Anche il compagno confermò le sue «condizioni del tutto anomale» per due giorni. Non solo «un prodromo», come ipotizzò il pm Caty Bressanelli nella sua richiesta di custodia cautelare, ma un precedente concreto. Sfumato per il mancato coraggio di Mirto, ancora in ospedale proprio a seguito di un crollo emotivo dopo la confessione.
Lui, l'anello debole, almeno nella prima fase di «progettazione» del piano omicida, che si convincerà però a stretto giro. E Silvia, la figlia maggiore di Laura, la più ferma, lucida e determinata, pare: è stata lei, impiegata ed ex fisioterapista, a procurare le benzodiazepine. Paola, la più piccola, studentessa schiva e riservata, inizialmente perplessa, a sua volta non ci avrebbe messo molto a diventare complice attiva.
Fotocopia del tentativo sfumato, l'omicidio premeditato - per il gip «a lungo pianificato» - i ragazzi lo portarono a termine la sera del 7 maggio, sempre nella casa di Temù. «Le abbiamo dato la tisana», hanno confermato, aggiungendo poi una serie di dettagli (pressoché sovrapponibili nelle tre versioni) crudi e feroci sulla dinamica. Perché Laura Ziliani, secondo la loro versione, non sarebbe stata sedata e soffocata.
Una volta resa inerme dagli ansiolitici, «le abbiamo messo un sacchetto in testa e abbiamo provato a strangolarla con una fettuccia in velcro». Ma non ha funzionato. La sete d'aria ha provocato le convulsioni, si agitava, Laura. Non moriva. «E allora l'abbiamo strozzata con le mani»: quelle mani, al collo di Laura Ziliani, dicono di averle strette Silvia e Mirto. Poi, in auto, di notte, l'hanno trasportata lungo l'argine del fiume. Costretti dalle difficoltà a cambiare strategia, non hanno utilizzato quella «buca» precedentemente preparata, ma hanno occultato il corpo di Laura - addosso solo una canotta e un paio di slip - sotto la terra e la fittissima vegetazione.
Non hanno ucciso per soldi, assicurano tutti e tre. Le ragazze raccontano di «rapporti famigliari tesissimi, logori da tempo» e contrapposizioni molto forti con una madre dura, «che ci faceva sentire sbagliate, inadeguate»: che, stando al loro sfogo arrabbiato, le avrebbe perennemente sminuite a fronte, invece, dei tanti risultati che lei aveva ottenuto nel corso della sua vita, della sua posizione, la sua ricchezza, il suo bell'aspetto. A dispetto delle figlie che, al contrario, svogliate e includenti, non si erano ancora «sistemate».
Non ce la facevano più, avrebbero detto agli inquirenti. Stando a questa versione - inverosimile per chi indaga - Mirto però non ci avrebbe guadagnato nulla: «L'ho fatto per amore, per Silvia, era la mia ragazza...» ha spiegato in lacrime. Lui, ad oggi, sembra davvero il più provato ed emotivamente distrutto, dopo otto mesi in carcere. Dopo essersi chiusi nel silenzio, hanno deciso di parlare e ammettere le proprie responsabilità a un anno dai fatti e in prossimità della richiesta di rinvio a giudizio. Non è escluso che, a fronte della mole di prove raccolte a carico, si siano davvero sentiti con le spalle al muro.
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