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GIUSTIZIA E' SFATTA: MEGLIO MAMMA O PAPA’? - CONTESO TRA I GENITORI A 6 ANNI, IL TRIBUNALE DI TRIESTE STABILISCE CHE SARA’ IL BAMBINO A DECIDERE CON CHI VIVERE - “COME SI FA A CHIEDERE A UN BAMBINO DI 6 ANNI DI SCEGLIERE TRA LA MADRE E IL PADRE?”

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Gianpaolo Sarti per la Repubblica

 

“Andrea”, che è un nome di fantasia, è un bambino di sei anni conteso dai genitori da quando è nato. Con chi starà il piccolo d’ora in avanti? Con mamma o papà? Deciderà il bimbo.

 

Siamo a Trieste, nel mezzo di uno scontro legale che si trascina da molto tempo tra una mamma di origini peruviane e un padre italiano. Entrambi vogliono il figlio. Il Tribunale dei minori del capoluogo, come ha riferito il quotidiano Il Piccolo, ha stabilito che la parola finale non spetta né all’uno, né all’altro. Bensì al bambino.

 

Una strada, quella imboccata dal palazzo di giustizia per questo complesso caso di affidamento, destinata a fare giurisprudenza. E a innescare un dibattito sulla portata psicologica di una decisione che pesa tutta su spalle ancora troppo gracili.

 

Tutto comincia sei anni fa, quando “Andrea” è in culla. Non si sa cosa sia accaduto nella coppia, sta di fatto che la madre decide di portare il bebè nel suo Paese di origine, il Perù. Doveva essere una semplice “vacanza”: invece no, la donna non farà più rientro in Italia, tenendosi stretto il neonato.

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Il papà vola subito in Sudamerica per ingaggiare la sua battaglia, attivando la convenzione Aja per i minori. Le autorità straniere in un primo momento accolgono la richiesta disponendo il rientro del figlio in Italia, tanto che l’uomo riesce a ottenere pure l’affidamento dal tribunale locale. Ma oltreoceano il provvedimento non è esecutivo, la disputa è solo alla prima puntata: in secondo grado la mamma riconquista il diritto di tenersi Andrea. In Perù la vittoria è sua.

 

Il papà non si dà per vinto, va a più riprese in Sudamerica e nel 2013 ce la fa a riportare il figlio a Trieste, dove è nato. La scena a questo punto si sposta di nuovo sulla madre che a sua volta sollecita il tribunale della città ad applicare la convenzione per i minorenni. Però i giudici dicono no, temendo conseguenze sullo stato psicofisico del figlio, sballottato da una parte all’altra. Per Andrea non c’è pace, il tiramolla continua: la Cassazione nell’aprile 2015 annulla il provvedimento.

 

Tutto daccapo: la donna potrebbe domandare la restituzione del figlio. Non fosse che a carico della sudamericana pende una condanna del Tribunale di Gorizia per “sottrazione internazionale di minore”, seppur con sentenza non definitiva, proprio a causa di quella “vacanza” architettata anni prima. Un grattacapo giudiziario.

BAMBINO CONTESO TRA I GENITORIBAMBINO CONTESO TRA I GENITORI

 

Andrea intanto sta col padre, abitano a Trieste. Il collegio del Tribunale dei minori ha ordinato una perizia sul bimbo, affidata a una psicologa infantile con il compito di aiutare i giudici a capire se il piccolo può comprendere le conseguenze delle sue scelte. “Meglio mamma o papà?” si sentirà domandare Andrea. Lui che magari vorrebbe soltanto tutti e due.

 

 

2. MA A QUELL’ETÀ L’AMORE NON SI PUÒ SCEGLIERE

 

Michela Marzano per la Repubblica

 

È da quando è nato che la mamma e il papà se lo contendono. Come se un figlio non fosse poi così diverso da una qualunque altra cosa per la quale si litiga quando finisce una relazione: è mio, non è tuo, mi appartiene, giù le mani.

TRIBUNALE MINORITRIBUNALE MINORI

 

Sono sei anni che, prima in Sudamerica, poi anche in Italia, si susseguono i giudici, gli avvocati, i processi e i verdetti. Fino all’ultimo colpo di scena: per il Tribunale di Trieste, deve essere il bambino a decidere dove e con chi vivere. Ma può un bimbo di soli sei anni prendere una decisione così difficile? Come si fa a chiedere a un bambino di scegliere tra la madre e il padre quando i genitori, ovviamente, li si ama entrambi e l’amore, per definizione, non sceglie?

 

Certo, quando una decisione ci riguarda, anche se siamo piccoli e indifesi, abbiamo tutto il diritto di esprimere il nostro punto di vista, di comunicare quello che desideriamo, di dire soprattutto ciò che non vogliamo. È assurdo pensare che un bambino non abbia la capacità di capire quello che accade; lo capisce sempre, anche quando è molto piccolo, anche quando la vita è talmente complicata che nemmeno gli adulti riescono a raccapezzarsi del tutto.

 

michela marzano michela marzano

Ma un conto è riconoscere la soggettività dei bambini, evitando di trattarli come semplici pacchetti che si possono spostare da un luogo all’altro indipendentemente dai sentimenti che provano; altro conto è scaricare sulle loro spalle l’onere pesante della decisione. Il problema, d’altronde, non è tanto quello di capire le conseguenze delle proprie azioni, quanto quello di assumersene la responsabilità. Cosa che spetta, appunto, agli adulti. Soprattutto quando ciò che è in gioco, come per questo bimbo di sei anni, è l’amore dei propri genitori.

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