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Niccolò Carratelli per “la Stampa”
Se non saremo capaci di invertire la rotta, nel 2050 ci saranno 5 milioni di italiani in meno e perderemo quasi 2 milioni di giovani. Come se, in meno di 30 anni, sparissero tutti gli abitanti del Veneto o della Sicilia. Nel 2070 la popolazione potrebbe scendere addirittura a 47 milioni di persone, 12 milioni in meno rispetto a oggi.
Le proiezioni dell'Istat disegnano uno scenario allarmante per il futuro del nostro Paese: le nascite passerebbero dalle attuali 400 mila (scarse) all'anno a circa 298 mila, ben lontane dall'obiettivo minimo del mezzo milione, per raggiungere un corretto equilibrio demografico. Inoltre, ci ritroveremmo con solo il 52% della popolazione in età da lavoro, visto che il 16% avrebbe sotto i 20 anni e il 32% sarebbe la quota dei pensionati.
Nel suo messaggio agli Stati generali della natalità, la cui seconda edizione si è aperta ieri a Roma, il presidente Sergio Mattarella parla di questo pesante e progressivo calo delle nascite come di «uno degli aspetti più preoccupanti delle dinamiche sociali contemporanee». Bisogna partire dalla consapevolezza che le donne «devono affrontare ancora oggi troppi impedimenti e difficoltà per raggiungere una piena parità» e che «non può esservi opposizione tra impegno professionale, attività lavorativa e scelta di maternità», avverte il capo dello Stato.
Parole che arrivano insieme a quelle di Papa Francesco: «Non vedere il problema della denatalità è un atteggiamento miope, è rinunciare a vedere lontano, a guardare avanti». La prospettiva offerta dall'Istat, però, non è rosea: l'obiettivo dei 500 mila nati si può raggiungere nell'arco di 40-50 anni.
E non si pensi che il problema sarà risolto dagli immigrati, perché il loro contributo demografico si sta riducendo con il passare degli anni: i nati da genitori entrambi stranieri, scesi sotto i 70 mila nel 2016, sono arrivati per la prima volta nel 2020 sotto la soglia dei 60 mila (-20 mila in meno rispetto al 2012), anche per effetto delle dinamiche migratorie nell'ultimo decennio, e costituiscono il 14,8% del totale dei nati.
Mentre rappresentano più del 10% degli studenti che frequentano le nostre scuole: 870 mila su una popolazione studentesca di 8 milioni e mezzo, secondo i dati del ministero dell'Istruzione, aggiornati al 2020. Inevitabilmente, il calo delle nascite si è tradotto in una riduzione delle iscrizioni e del numero degli alunni: -343 mila tra l'anno scolastico 2015/2016 e quello 2019/2020. Quasi il 4% in meno, in generale, ma in realtà la flessione riguarda solo gli studenti italiani (-5%), mentre gli stranieri aumentano (+7,6%). Un dato che mostra l'assoluta rilevanza del dibattito sulla cittadinanza attraverso il cosiddetto "ius scholae".
«Nella scuola, secondo le tendenze attuali, dovremmo avere, dal 2021 al 2032, 1 milione e 400 mila ragazzi in meno. - ha spiegato nel suo intervento il ministro Patrizio Bianchi - Di fronte a questo, abbiamo deciso di mantenere uguali le risorse, anche se c'è questa caduta demografica, perché abbiamo fiducia di poterla invertire».
Garantendo un adeguato livello di istruzione e il necessario supporto alle famiglie, ma, ancora prima, assicurando condizioni di vita dignitose: secondo l'ultimo rapporto Istat, infatti, in Italia più di 5 milioni e mezzo di persone, ovvero il 9,4% della popolazione, vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Di queste, oltre un milione e 300 mila sono bambini. Alla politica il compito di trovare le risposte. Oggi, agli Stati generali della natalità, sono attesi, tra gli altri, Enrico Letta, Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
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