DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Alessandro Mondo per “la Stampa”
«Troppi deficit nella gestione dell' emergenza. E dubbi sui dati diffusi». Il dottor Roberto Venesia, presidente regionale Federazione medici di famiglia piemontesi (Fimmg), va diritto al punto.
Quali dubbi?
«Quelli che emergono dalla ricerca condotta dal Gruppo ricerca e innovazione della Fimmg dal 26 marzo al primo aprile: 63 medici hanno registrato i dati di 77.216 pazienti, un campione corrispondente al 2,16 per cento della popolazione piemontese».
Risultato?
«Abbiamo avuto 422 segnalazioni di sospetti positivi. Interessante rapportare i nostri dati con quelli ufficiali. In quei sette giorni i casi accertati sono stati 3.183 su 3 milioni e mezzo di abitanti, cioè i piemontesi maggiorenni: ovvero un' incidenza nei sette giorni dello 0,55 per cento contro lo 0,09, una differenza di sei volte. Significa che se i nostri dati fossero validati, i nuovi casi nella popolazione in quei giorni monitorati corrisponderebbero a ben 19.495».
Conclusione?
«In Piemonte il dato dei casi totali, almeno fino al 19 marzo, sembra corrispondere al numero totale dei ricoverati ma sembra sottostimato, visto che non possiamo sottoporre i pazienti sospetti ad alcun test».
Più in generale?
«Finora in Piemonte l' emergenza è stata gestita con un approccio centrato sugli ospedali, senza considerare che la battaglia contro l' epidemia si vince sul territorio».
Come?
«Mettendo i medici in condizione di lavorare con adeguati livelli di sicurezza per prendersi cura dei malati. Inutile girarci intorno: la tecnologia aiuta, ma ad un certo punto i tuoi pazienti devi visitarli, e trattarli. Ora sto andando a ritirare una grossa partita di dispositivi di protezione: ce li siamo comprati da soli».
Anche le Rsa fanno parte del territorio.
«Le Rsa sono state colpevolmente abbandonate da almeno dieci anni: da allora vado ripetendo che l' assistenza in queste strutture non garantisce la stessa tutela di chi è trattato a casa».
Perché?
«Manca un' assistenza medica strutturata e adeguata».
E i tamponi? Troppo pochi?
«A mio avviso vanno riservati al personale sanitario. Noi possiamo e dobbiamo curare i malati a domicilio, impedendo l' evolvere della malattia con farmaci dai risultati promettenti, oltretutto noti da anni. Ma se non si predispongono i protocolli terapeutici non si combina nulla».
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