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#coronavirus: modello predittivo @GIMBE
— Nino Cartabellotta (@Cartabellotta) April 8, 2020
Affidabilità robusta, ma basato solo su 2 variabili: maneggiare con cura perchè potrebbe essere influenzato da nuovi focolai, tamponi effettuati, aderenza a misure distanziamento sociale, sovraccarico ospedali#COVID19italia #COVID19 pic.twitter.com/bcYJ8j9AfY
Francesca Bernasconi per www.ilgiornale.it
Passare alla fase 2 prima di maggio potrebbe essere rischioso. A sostenerlo è la Fondazione Gimbe, che nel modello che prevede l'andamento dell'epidemia mostra a giugno il momento dei "nuovi casi zero".
La Fondazione ha deciso di rendere pubblici "i risultati delle proprie analisi indipendenti per offrire alcune risposte, utili ad informare le decisioni politiche ed aumentare la consapevolezza della popolazione in un momento estremamente delicato della gestione dell'epidemia nel nostro Paese".
Il modello pubblicato è stato elaborato con l'analisi della regressione, usando due variabili: l'incremento percentuale dei nuovi casi e il tempo espresso in giorni. Secondo i risultati della Fondazione, il 16 aprile l'aumento dei casi dovrebbe scendere al 2%, il 27 aprile all'1%, il 7 maggio allo 0,5%, mentre il 2 giugno allo 0,1%. È questa la soglia usata a Hubei per allentare le misure: il 2 giugno, quindi potrebbe essere il giorno dei "nuovi casi zero".
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"Il modello - spiega ad Agi Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione -viene aggiornato quotidianamente e deve sempre essere maneggiato con cautela perchè l'andamento dei contagi potrebbe essere influenzato da variabili non considerate, spesso differenti nelle varie Regioni: insorgenza di nuovi focolai, numero di tamponi effettuati, aderenza alle misure di distanziamento sociale, sovraccarico degli ospedali".
Secondo quanto emerge dai dati, i risultati italiani sono simili a quelli della provincia di Hubei: la modalità di espansione è stata simile, ma le misure attuate in Italia non sembrano aver dato gli stessi risultati di quelle cinesi, come dimostra la crescita dei contagi. "Questa differenza - spiega Cartabellotta - è dovuta almeno a tre motivazioni: da noi misure non tempestive, meno rigorose e più frammentate e minore aderenza della popolazione". Le decisioni che prenderà il Governo circa l'inizio della fase 2 dovrebbero tener conto che, "a differenza della Cina, non siamo in condizioni di applicare una sistematica tracciatura dei contatti tramite tecnologie avanzate e che i test sierologici non permettono ancora di fornire alcun 'patentino di immunità'".
I dati della Fondazione dimostrano che "la curva del contagio è rallentata, ma l'aumento dei nuovi casi è ancora rilevante". Per questo, l'allentamento delle misure di contenimento "dovrà essere graduale e differenziato per tipologia di intervento e, ove possibile, 'personalizzato' nelle varie Regioni monitorando strettamente l'insorgenza di nuovi focolai". Infine, avverte la Fondazione, "se nelle prossime settimane sarà confermato il rallentamento dei nuovi casi, con una certa dose di spavalderia la fase 2 potrebbe essere avviata tra fine aprile e inizio maggio, accettando il rischio di una nuova impennata dei contagi. Se al contrario la linea vuole essere quella della gradualità e della prudenza, qualsiasi riapertura prima di fine maggio non si basa sulle dinamiche del contagio in Italia".
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