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LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO CONDANNA L’ITALIA PER L’INGIUSTA DETENZIONE DI GIACOMO SY, NIPOTE DI KIM ROSSI STUART, AFFETTO DA TURBE DELLA PERSONALITÀ E BIPOLARISMO – IL GIOVANE DOVEVA ESSERE DETENUTO IN UNA RESIDENZA PER L'ESECUZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA, MA INVECE HA TRASCORSO DUE ANNI NEL CARCERE ROMANO DI REBIBBIA PERCHÉ NEI REMS NON C'ERA POSTO...
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per la detenzione di Giacomo Sy, 28 anni, figlio dell'attrice e scrittrice Loretta Rossi Stuart e nipote dell’attore Kim.
Il giovane, affetto da turbe della personalità e bipolarismo, doveva essere detenuto in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), e invece ha trascorso due anni nel carcere romano di Rebibbia perché nei Rems non c'era posto e le autorità non sono state in grado di trovare una soluzione alternativa.
La Cedu ha condannato dunque l'Italia per averlo trattato in modo inumano e ha stabilito che lo Stato dovrà versargli 36.400 euro per danni morali.
La vicenda inizia nel luglio del 2018, quando Giacomo Seydou Sy, nato nel 1994 e residente a Mazzano Romano (Roma), è arrestato per furto e resistenza alle forze dell'ordine. Sy sarà infine condannato, ma il giudice deciderà che data la sua situazione deve essere messo agli arresti domiciliari. Giacomo non rispetta però le restrizioni e ritorna quindi in carcere.
Vi resterà fino al 27 luglio del 2020, nonostante i tribunali italiani abbiano stabilito che deve essere spostato in un Rems, e il 7 aprile del 2020 la Corte di Strasburgo abbia intimato all'Italia di spostarlo in una struttura adatta, non necessariamente un Rems.
Nel condannare l'Italia, la Corte di Strasburgo nota che "nonostante la salute mentale di Sy fosse incompatibile con la prigione, l'uomo è restato due anni a Rebibbia, in un contesto caratterizzato da cattive condizioni carcerarie e senza una terapia per rimediare ai suoi problemi e evitare che si aggravassero".
I giudici di Strasburgo evidenziano anche che "i governi hanno l'obbligo di organizzare il sistema penitenziario in modo da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, indipendentemente da qualsiasi difficoltà finanziaria o logistica". "Il caso di Giacomo Seydou Sy dimostra un cortocircuito istituzionale nel nostro Paese inaccettabile", dichiara il presidente dell'Associazione Antigone, Patrizio Gonnella.
"Nella sua decisione la Cedu - spiega Gonnella - non risolve solo un singolo caso, ma dà indicazioni su un ‘percorso’ che Governo e Parlamento devono seguire per evitare altre condanne e nuove violazioni dei diritti fondamentali".
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