don michele barone

TU CHIAMALE, SE VUOI, CONFESSIONI - “COSTRETTE A FARE SESSO CON DON MICHELE IN SAGRESTIA” – I VERBALI CHOC DELLE VITTIME DEL PRETE ESORCISTA: “SE QUALCUNO BUSSAVA ALLA PORTA, LUI DICEVA CHE STAVA CONFESSANDO”- LE TELEFONATE EROTICHE E LE MINACCE

don michele barone

Titti Beneduce per www.corriere.it

 

«Don Michele mi diceva continuamente di non considerare che fosse un prete, per cui era normale avere effusioni tra noi come tra due fidanzati normali. Riuscì a convincermi e a baciarmi e ogni volta andava sempre oltre. Quindi, dopo avermi baciata, mi denudava, denudandosi anche lui... Tali rapporti si sono protratti per un po’ di tempo ed avvenivano su un divanetto in una stanza ubicata al pian terreno della struttura “La piccola casetta di Nazareth”. Se qualcuno bussava alla porta, don Michele rispondeva che stava facendo una confessione».

 

Quando questo accadeva era appena maggiorenne la donna che oggi punta il dito contro don Michele Barone, sacerdote ed esorcista abusivo, in carcere dalla fine di febbraio per maltrattamenti e lesioni gravissime nei confronti di una quindicenne. Dagli atti dell’inchiesta continuano ad emergere particolari sconcertanti sul comportamento del religioso, che il Riesame ha mantenuto in carcere. Non solo, riferiscono i testimoni, era particolarmente violento quando praticava gli esorcismi (per i quali non era autorizzato dalla Chiesa) o le «benedizioni».

 

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Le telefonate erotiche

Era, secondo diverse donne, anche solito commettere abusi di tipo sessuale sulle sue adepte. Le violenze avvenivano spesso in chiese consacrate del Casertano. Racconta ancora la vittima, che chiameremo Luciana, ai pm di Santa Maria Capua Vetere Daniella Pannone e Alessandro Di Vico: «Tengo a dirvi che, quando don Michele era impossibilitato ad incontrarmi, mi telefonava soprattutto durante la notte e molto spesso, chiedendomi di parlargli in modo particolare. Ricordo che tali telefonate duravano anche due o tre ore. Non ricordo quante volte ho avuto rapporti, però erano tanti. Di solito mi recavo presso la Piccola Casetta di Nazareth dopo che don Michele mi aveva chiesto di andare da lui e quasi sempre nel primo pomeriggio, quando i suoi confratelli facevano il riposo pomeridiano ed inoltre in tale orario non c’era presenza di fedeli.

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Tali rapporti di sesso si sono verificati anche a casa mia, quando mia madre non c’era. Tengo a dirvi che don Michele, per convincermi, mi diceva sempre di amarmi, che avrebbe smesso di fare il prete e che voleva formare una famiglia con me». I due presero a incontrarsi anche in un albergo a ore sulla strada che da Giugliano porta a Lago Patria. La giovane donna fa un racconto dettagliato quanto raccapricciante di questi incontri violenti ai quali, dopo un bel po’ di tempo, decise di sottrarsi. A quel punto, afferma la teste, don Michele andò su tutte le furie e mandò una persona a minacciarla: una persona che parlò a nome di Michele Barone, cugino omonimo del sacerdote ed esponente di primo piano del clan dei casalesi.

Le minacce

«L’uomo riferì con tono imperioso a mia madre che io non dovevo più mandare messaggi e chiamare don Michele perché “deve fare il prete”. Io, ignara di tale situazione, tornai a casa, ove mia madre mi disse di essersi molto spaventata nel sentire il nome di Michele Barone, che era notorio in paese per essere un pregiudicato, e per tale motivo ricordo che mi picchiò. Mia madre tuttora mi rimprovera di essere stata portatrice di questo guaio, anche perché lei si sentì minacciata dall’uomo presentatosi a casa sua e per il successivo scandalo che ne conseguì. Infatti nel paese si sparse la voce che io ero incinta di don Michele e che poi avevo abortito».

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Ma non è tutto: a detta della testimone, infatti, il sacerdote si dedicava anche ad altri affari illeciti. «Nel periodo della nostra relazione don Michele voleva darmi banconote false, come asserito da lui stesso, chiedendomi di smerciarle. Io mi ero sempre rifiutata. Inoltre aveva schede telefoniche intestate a sconosciuti e cambiava in continuazione numeri di telefono. Inoltre aveva contatti con persone che avevano la possibilità di smerciare cose rubate».