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Francesco Olivo per “la Stampa”
A Ibiza pensavano di averle viste tutte e si sbagliavano: un cameriere con una spuma su un vassoio evita per un soffio una silfide mascherata. L’incontro tra i due mondi al Casino di Eivissa non è casuale e serve maestria perché non diventi uno scontro.
L’esperimento sta per cominciare: sull’isola delle Baleari ha appena aperto le porte Heart, la nuova creazione dei fratelli Adrià e Guy Laliberté, ospitata al Gran Hotel di Marina Botafoch a un chilometro dal porto. I fondatori del Bulli e del Cirque du Soleil, geni indiscussi nei loro campi, hanno messo insieme, rischiando un bel po’, le loro menti irregolari.
Con loro la società Calida Ibiza, proprietaria dell’hotel. Ne è uscito un locale difficile da descrivere e che entra a fatica nelle categorie tradizionali, un ristorante, un teatro, uno spazio espositivo, tutto insieme. Heart, dopo aver aperto senza troppi clamori le proprie porte a metà giugno, partirà sul serio a luglio, andando avanti fino a ottobre.
Ovvio che non sarà una cena normale, ma una «gastrofiesta» scherzava Albert Adrià, a un mese dall’apertura, seduto a un tavolo del suo Tickets, il bar di tapas di Barcellona. Il rapporto può non essere semplicissimo, la cucina molecolare e i funamboli, la cura e l’ordine della cucina catalana e la furia rumorosa dei circensi canadesi.
La domanda se la pongono tutti: cosa hanno in comune le creazioni dei fratelli Adrià con le colorate follie del Cirque du Soleil? All’apparenza nulla, se non la voglia di sperimentare, e a prima vista dal laboratorio sta uscendo qualcosa di interessante.
All’Heart si fa di tutto: al piano terra c’è il ristorante, cucina a vista, il palco, schermi virtuali e decine di installazioni artistiche. In una specie di acquario spazio alla fantasia con giochi di luci, sfilate di ogni tipo e body painting. Sul terrazzo lo scenario cambia completamente: un mercato (molto chic) dello street food, con quattro culture protagoniste, Messico, Giappone, Perù e ovviamente Spagna. Niente Italia, «d’altronde Ibiza di fatto è italiana», ride Adrià.
I clienti della terrazza, 140 coperti, pagano tra gli 80 e i 100 euro (al ristorante si paga di più) possono rifornirsi senza sosta dagli splendidi camioncini, disegnati dai creativi del circo. Alcune creazioni fusion lasciano il segno: un takoyaki di tortilla di patate, i ravioli giapponesi di maialino, i waffle salati.
Tutto intorno impazza lo show del Cirque, evitando che la simbiosi diventi interferenza: «Quando si mangia lo spettacolo resta sullo sfondo, alla fine della cena, verso mezzanotte, cominciano le vere esibizioni. Altrimenti ci si oscura a vicenda» spiega Albert. Dopo i dolci, mai banali ovviamente (appare persino un albero di ciliegie), ecco una cameriera vestita da astronauta a servire i chupitos.
Spente le luci (si fa per dire, sono troppe) della ribalta, è il turno della discoteca, anche questa sofisticatissima. Albert Adrià, che tra un’apertura e l’altra ha appena ricevuto ai «50 best» di Londra il premio come miglior pasticciere al mondo, racconta che «questo non deve essere un circo, ma uno spettacolo. D’altronde è questa la filosofia di Guy Laliberté. Ci siamo conosciuti a Barcellona molti anni fa, lui veniva a mangiare da noi, ci siamo capiti al volo. Il nostro vero scopo è uno: coinvolgere tutti e cinque i sensi. Sono cinque, giusto?».
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