IL BOTTO DI FINE ANNO: IL 1 AGOSTO 2024 (DUE SETTIMANE DOPO IL TAGLIO SUL CAPOCCIONE) GENNARO…
Guido Olimpo per "www.corriere.it"
Al killer sono bastati un paio di minuti per compiere la strage. Otto morti. Questa volta a Indianapolis, Indiana. Nuova città martire sulla mappa americana, marcata dal sangue di tanti innocenti. Le 23 di giovedì, ora locale (quasi l’alba di venerdì in Italia). L’omicida è arrivato in auto al deposito della FedEx nei pressi dell’aeroporto, si è fermato nel parcheggio, è sceso ed ha sparato senza dire una parola sui presenti. Qui, sull’asfalto, le prime 4 vittime. Poi entrato nell’edificio per finire la «missione». Ha sparato ancora, uccidendo altre 4 persone e ferendone sei. L’identità dell’assassino è stata svelata dai media nel primo pomeriggio di ieri: Brandon Scott Hole, 19 anni, ex dipendente.
Tutti caduti sotto il fuoco del suo fucile, usato poi per togliersi la vita secondo un rituale non raro in queste circostanze. Il complesso, dove lavorano numerosi sikh, è stato isolato. Grande l’angoscia dei familiari accorsi nella zona. Per loro non è stato possibile contattare i congiunti perché dentro i capannoni è vietato usare i cellulari, regola adottata — spiegano — per evitare che il personale possa distrarsi. Situazione assurda. Per ore non sono trapelati i nomi dei caduti, di coloro finiti all’ospedale. Secondo alcune fonti l’assassino Brandon Scott Hole era stato segnalato dalla famiglia alla polizia in quanto ritenuto pericoloso, capace di compiere atti violenti. Circostanza che, se confermata, aprirà un secondo fronte, non inedito nelle vicende degli stragisti.
A questo punto è iniziata la seconda fase. Dolore, condanna, lacrime. Un’onda lunga fino a Washington. La Casa Bianca ha ordinato le bandiere a mezz’asta mentre il presidente Joe Biden ha usato termini forti: «La violenza da armi da fuoco è una epidemia in America. Ma non dobbiamo accettarla. Dobbiamo agire. Troppi americani stanno morendo ogni giorno per la violenza delle armi da fuoco, questo macchia il nostro carattere e squarcia la vera anima della nostra nazione. Noi possiamo, e dobbiamo, fare di più per salvare vite».
Appello risuonato spesso in queste settimane dove gli sparatori di massa sono andati ripetutamente all’assalto, per ragioni diverse. A metà marzo l’attacco di Atlanta contro i centri massaggi gestiti da donne asiatiche, a seguire Boulder — dove si è ancora alla ricerca di un perché — due episodi in South Carolina. E ieri era l’anniversario di un evento terribile: il 16 aprile 2007 uno studente d’origine sudcoreana assassinava 32 studenti al Virginia Tech. Un raid accompagnato da una mossa mediatica, con l’invio di videocassette da parte dell’omicida.
Quel massacro sarà spesso citato da altri protagonisti di eccidi che lasceranno a loro volta messaggi e testi per «spiegare» gesti violenti. Motivazioni a volte confuse, tesi di persone instabili, ma anche la narrazione di presunte ingiustizie, rancori, odio. Un insieme di fattori che ha contributo ad un bilancio tragico. Nel Paese, durante il 2020, ci sono stati 20 mila morti e nell’anno in corso 147 attacchi con più di quattro uccisi.
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