DAGOREPORT – DI FRONTE ALLO PSICODRAMMA LEGHISTA SUL VENETO, CON SALVINI CHE PER SALVARE LA…
1. COCA, STAR E CALCIATORI: L'IMPERO DEI BOSS
Federica Angeli per âLa Repubblica - Roma'
Trecento società schermate dietro cui i Righi, nel tempo, hanno nascosto i loro 23 locali a Roma. Trecento società diverse che i carabinieri del nucleo investigativo di via In Selci hanno dovuto rincorrere per smascherare l'impero della "holding della pizza", i cui introiti uscivano ed entravano sui conti del clan camorrista dei Contini.
E ancora: incontri segreti a casa dell'ex Principe della Roma Giannini (imparentato con i Righi, la figlia è fidanzata con Ivano Righi) per cambiare gli esiti di competizioni sportive. Una relazione segreta tra l'attrice Francesca Dellera e il boss Edoardo Contini.
Nell'ordinanza di quasi duemila pagine che racconta l'espansione della camorra a Roma ci sono intrecci e consorterie che fanno spavento. E che, come scrive il gip di Napoli, delineano una «borghesia mafiosa» senza scrupoli, sempre pronta a sostenere le iniziative di espansione dei clan.
LA FRODE SPORTIVA A CASA DEL "PRINCIPE"
Il 10 maggio del 2009 nella casa romana di Giuseppe Giannini, allenatore del Gallipoli, i Righi organizzano una riunione segreta in cui si decide di comprare l'ultima partita di campionato (Gallipoli- Real Marcianise).
Una gara fondamentale per la promozione della squadra salentina in serie B. Giannini e Righi decisero di pagare 50mila euro Michele Murolo e Massimo Russo, due calciatori del Real Marcianise. Tutto fu messo un piedi in cinque giorni. «Se i dirigenti del Gallipoli - dice al telefono Righi - rifiutano di pagarli, paghiamo io e Giannini, ci siamo capiti?». E il 17 maggio 2009 il Gallipoli vinse per 3 a 2.
LE TRECENTO SOCIETA' FANTASMA
Così mentre a Napoli la famiglia di imprenditori Righi decideva le sorti sportive della sua squadra e impartiva ordini per rilevare sempre più attività commerciali, a Roma continuava ad aprire locali e pizzerie nel centro storico.
Un lavoro all'apparenza pulito che si è avvalso di una matrioska di società , una infilata nell'altra che venivano aperte anche all'estero. Un pentito ha dichiarato che, nel 2009 è stato invitato ad andare a New York per consegnare a un commercialista la documentazione per fare un cambio societario. Stesso meccanismo, attuato per altre 299 volte, ha spostato la sede societaria dei locali romani della camorra in Belgio, Spagna, all'Est, per poi ripassare per la capitale e tornare a Napoli.
L'ATTRICE E IL BOSS
Un collaboratore di giustizia, fondamentale in questa inchiesta per ricostruire gli affari della camorra, ha raccontato anche di "debolezze" del boss Edoardo Contini, spietato nelle sue punizioni, ma tenero con la sua amante, l'attrice Francesca Dellera. «Era l'anno dei Mondiali, il â90 - dice il collaboratore ai pm - eravamo detenuti insieme in carcere; Edoardo mi confidò di avere avuto una relazione erotica con la nota attrice Francesca Dellera e mi disse che lui gli aveva procurato anche della cocaina che consumavano insieme. Fu proprio Salvatore (mi sembra) Righi a presentare a Edoardo la ».
2. LUONGO: UN VORTICE CONTINUO DI PRESTANOMI PER REINVESTIRE I SOLDI SPORCHI DEI CLAN
Federica Angeli per âLa Repubblica'
Colonnello Salvatore Luongo, quanto è difficile sviluppare operazioni contro la criminalità organizzata a Roma, come quella che ha portato al sequestro di 23 locali
riconducibili alla camorra?
«Queste sono operazioni molto articolate che devono essere svolte con attenzione perché il quadro indiziario acquisito deve avere una valenza in sede dibattimentale. In questo caso è stata un'indagine complessa, lunga, laboriosa, fatta di tantissimi riscontri, di attività sul campo e di tante verifiche mirate ad accertare il patrimonio che queste persone gestivano».
Una delle difficoltà è proprio riuscire a ricostruire la filiera delle società schermate che, per quanto riguarda i locali del centro storico di Roma, erano addirittura trecento, è così?
«Sì, c'è un passaggio continuo di titolari e gestori di società , un cambio continuo di ragione sociale e nominativo delle imprese. Loro riescono a portare su un binario morto, ormai anemizzato la società pregressa, dove è poi difficile arrivare con gli accertamenti sia di natura patrimoniale sia di natura fiscale e tributaria. Poi c'è il discorso della doppia contabilizzazione».
Ovvero?
«C'è una contabilità dichiarata e tutto quello che viene contabilizzato in nero che in effetti è il vero introito che questi personaggi mettono da parte per poter fare delle rimesse ai clan oppure per reinvestire in altre società ».
Altro ostacolo: ricostruire il filo diretto dei prestanome ai clan.
«Questa è una difficoltà permanente in tutte le investigazioni complesse che riguardano consorterie di tipo mafioso. Ma noi abbiamo sviluppato questo filone di indagine sotto la direzione di due procure - quella di Roma e quella di Napoli - coordinate dalla Direzione nazionale antimafia che ci hanno sempre fornito precise direttive, tanto da individuare i movimenti di denaro e i circuiti finanziari».
I sequestri che il comando Provinciale ha eseguito arrivano dopo sei anni di indagine. Non è un tempo troppo lungo per contrastare l'espansione dei clan?
«Il procedimento penale ha avuto un suo corso. A latere abbiamo un procedimento che riguarda l'adozione di una misura patrimoniale di prevenzione che ci ha consentito di sequestrare i 23 locali su Roma, il centro sportivo di Napoli, altri esercizi commerciali sul territorio nazionale, 87 edifici, autovetture e un numero elevato di conti bancari e di assetti finanziari che stiamo verificando».
Come i 23 locali sequestrati oggi sono ancora aperti?
«E' stata fatta una scelta importante di affidamento fiduciario per evitare di creare nocumento all'attività commerciale in senso stretto, volevamo che i dipendenti fossero messi in condizione di lavorare e assicurare il mantenimento delle derrate e
dei cibi».
Nei ristoranti gestiti dalla famiglia Righi, le risulta fossero utilizzati prodotti esclusivamente della camorra?
«No, non ci risulta. Vero è che la maggior parte delle maestranze proveniva dalla Campania».
Le carte parlano dello sbarco a Roma del clan Contini negli anni â90. Ci sono voluti trent'anni per smascherarli?
«E' vero che queste famiglie si sono insediate a metà degli anni â90, ma l'attenzione nei confronti delle loro attività nasce nel momento in cui loro polverizzano una serie di esercizi commerciali sulla città . I risultati ottenuti oggi, dopo un'indagine iniziata nel 2008, hanno portato a smascherare un impero vero e proprio. L'esito mi sembra dunque molto importante».
Importantissimo. E questo grazie all'impegno di un esercito di carabinieri - del nucleo investigativo di via In Selci - che hanno lavorato senza risparmiarsi, vero?
«Un'operazione del genere comporta un impegno estenuante di decine e decine di uomini. Il personale che ha lavorato a questa operazione è altamente qualificato con competenze di livello, non solo nella capacità intercettiva, di ascolto, ma anche nell'analisi della copiosa documentazione che pian piano veniva acquisita. Il mio plauso e quello dell'Arma a chi ha portato a termine questo grandissimo lavoro, è quantomeno doveroso».
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