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Estratto dell’articolo di Daniele Luttazzi per “il Fatto Quotidiano”
CARLO DE BENEDETTI AI TEMPI DELLA OLIVETTI
Quando Carlo De Benedetti parla della sua avventura all’Olivetti se ne vanta sempre. L’ha fatto anche la settimana scorsa, intervistato sul Corriere della Sera da Aldo Cazzullo: “L’Olivetti è stata un colossale successo. Quando Visentini mi chiamò, mi disse: ‘Non guardi i bilanci, altrimenti non viene. Ma lei ha voglia di rivincita, e Olivetti ha grandi potenzialità’.
Entrai che faceva macchine da scrivere; passammo all’elettronica, poi all’informatica, diventando il secondo produttore al mondo di personal computer dopo Ibm. E siamo stati l’unica azienda informatica a diventare un operatore telefonico. Omnitel fu venduta a Mannesmann, contro il mio parere, per oltre 14 mila miliardi di lire. Telecom Italia dovrebbe chiamarsi Olivetti, visto che Colaninno se la comprò con quei soldi. Io però ormai ero fuori”.
I dirigenti dell’Olivetti raccontano però un’altra storia. I loro ricordi sono nel blog Olivettiani (t.ly/S1FEq): una testimonianza, mai riportata dai giornaloni, su cosa combinò davvero De Benedetti a quell’azienda gioiello.
Scrive Gianni Di Quattro: “Il periodo di Carlo De Benedetti alla Olivetti si può dividere in due fasi distinte. La prima lo ha visto impegnato full time. Grazie all’aumento di capitale, alla monetizzazione di tutte le proprietà a livello mondiale, alla rinegoziazione delle pendenze con le banche, ma soprattutto grazie ai nuovi prodotti presenti sul mercato, dopo l’opera straordinaria di Beltrami e della Bellisario nel quinquennio precedente (e di cui molti trascurano i meriti, mentre molti se li attribuiscono immeritatamente, come capita sovente nella vita), in questa prima fase l’azienda andava bene, il fatturato arrivava, le spese erano sotto controllo, le quotazioni in Borsa crescevano.
L’ingegnere fece fuori Marisa Bellisario, e cominciò a pensare che avessero ragione alcuni giornalisti ruffiani che scrivevano che lui aveva risanato la Olivetti. E allora, seconda fase, comincia a occuparsi d’altro, proteso a sfruttare il suo momento favorevole: così nascono operazioni di Borsa, alleanze più o meno coerenti con qualsiasi visione, iniziative presuntuose spesso andate a mal partito.
Nello stesso tempo l’ingegnere pensa di ristrutturare l’azienda, promuove amministratore delegato Vittorio Cassoni, lo autorizza a cambiare l’azienda, a spaccarla in divisioni specializzate per prodotti e/o mercati sull’esempio di tante aziende americane del settore poi quasi tutte scomparse, escluso la Ibm, che però si convertì dai prodotti ai servizi.
L’operazione fu cosparsa di lacrime e sangue, i fatturati scesero, le spese aumentarono, la conflittualità interna esplose, i clienti non sapevano più con chi parlare, la Olivetti era diventata irriconoscibile. Inoltre, vengono promossi a posti di responsabilità commerciale sia in Italia che all’estero persone un po’ improbabili.
[…]
Nel disastro di prodotti, finanziario, organizzativo, di decisioni sballate sugli uomini, Elserino Piol offre una mano all’ingegnere spostando l’interesse principale verso le telecomunicazioni che hanno dato un po’ di respiro e di lustro all’azienda.
Anche se sono state lo strumento con il quale Roberto Colaninno, amministratore delegato chiamato dall’ingegnere dopo esperienze con Corrado Passera e Francesco Caio su cui è meglio sorvolare per non infierire, è riuscito a comprare Telecom Italia dando in cambio la Olivetti a parziale quota di pagamento. Ecco, quando la Olivetti divenne Telecom Italia (2003) è esattamente la sua morte ufficiale”. (1. Continua).
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