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Flavia Amabile per “la Stampa”
Pri ma della nascita il feto è già una persona, secondo la Corte di Cassazione e ora rischia una condanna per omicidio colposo il medico o l' operatore sanitario che compie errori durante il travaglio e il parto di una donna, tanto da non impedire la morte del feto. Esulta Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato «Difendiamo i nostri figli»: «La corte ha riconosciuto quello che fin dal 1978 diciamo, ovvero che il concepito - l' embrione prima e il feto dopo - è una persona umana».
La sentenza arriva dopo il processo a un' ostetrica, ora condannata in via definitiva a un anno e 9 mesi di reclusione (ma la pena è stata sospesa), ritenuta responsabile di omicidio colposo «per imprudenza, negligenza e imperizia» per la morte di un feto durante il parto, avvenuta nel novembre 2008 in una clinica di Salerno.
La Cassazione ha stabilito che in casi del genere è legittimo contestare il reato di omicidio colposo considerando una persona umana anche chi non è ancora nato. E non applicando invece il reato di aborto colposo, contemplato dalla legge 194, per cui sono previste pene più lievi.
L' imputata, secondo l' accusa, non aveva «tempestivamente» rilevato la «sofferenza fetale» che si era protratta per almeno mezz' ora - cosa che invece avrebbe «imposto di accelerare al massimo la fase espulsiva e l' estrazione del feto» - e aveva anche formulato al ginecologo «rassicurazioni» sul «regolare andamento del travaglio». Il feto era quindi «nato morto per asfissia perinatale».
Dopo le sentenze conformi di condanna emesse dai giudici del merito, l' ostetrica aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, lamentandosi per «l' errata qualificazione giuridica» del fatto, da lei ritenuto aborto colposo e non omicidio colposo, sollecitando anche una trasmissione degli atti alla Consulta.
Secondo l' imputata, «la nascita del feto si realizza esclusivamente con la fuoriuscita dall' alveo materno e col compimento di un atto respiratorio», mentre nel caso in esame il feto «non aveva mai respirato autonomamente». Del tutto diversa la conclusione dei giudici della Corte di Cassazione che hanno rigettato il ricorso. Nella sentenza depositata dalla quarta sezione penale, si sottolinea che «il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell' inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell' autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina e quella extrauterina».
Una disciplina, questa, che la Cassazione definisce «priva di profili di incostituzionalità», innestata «in un quadro normativo e giurisprudenziale italiano ed internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepimento si è poi estesa fino all' embrione».
Se non fosse così, infatti, conclude la sentenza, «alla naturale e fisiologica conclusione della gravidanza, il feto nascente sarebbe assurdamente tutelato, contro i fatti lesivi della vita individuale, solo nel caso di morte cagionata nelle condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto e la mancanza di tale elemento specializzante comporterebbe un inaccettabile vuoto di tutela, stante l' impossibilità di applicare tanto il procurato aborto quanto l' omicidio».
Per la Cassazione «la tutela della vita non può soffrire lacune» e deve essere garantito dalla legge anche il passaggio dei nascituri nel canale uterino».
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