DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
1 - KAZAKISTAN NEL CAOS «SPARARE PER UCCIDERE» IL SOSTEGNO DI PECHINO
Giuseppe D'Amato per “il Messaggero”
«Ho dato ordine alle forze di sicurezza di aprire il fuoco senza avvertimento». Così il presidente Kassym-Jomart Tokajev in una dichiarazione televisiva alla nazione. «Dall'estero ha proseguito il leader kazako ci sono stati appelli alle parti ad aprire una trattativa per trovare una soluzione pacifica ai problemi. Ma che sciocchezza! Come si fa a negoziare con delinquenti e assassini?»
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NESSUNA MEDIAZIONE
In sintesi, nessuna ipotesi di mediazione per mettere fine alle violenze. Anzi, è stata promessa «l'eliminazione» dei «banditi armati», accusati di aver istigato le manifestazioni popolari di protesta. Ad Almaty, la capitale finanziaria della repubblica ex sovietica, secondo Tokajev, ne sarebbero entrati in azione ben «20mila», che hanno agito «in modo coordinato, con un'alta preparazione militare e con cattiveria bestiale».
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Adesso, secondo le fonti ufficiali kazake, solo ad Almaty rimangono sacche di resistenza. «Lo scontro con loro ha aggiunto Tokajev dovrà essere portato avanti fino alla fine. Chi non si arrenderà sarà eliminato». Il presidente kazako ha poi ringraziato il collega russo, Vladimir Putin, per aver risposto prontamente alla sua richiesta di aiuto, inviando in Kazakistan truppe inquadrate nel contingente di pace del Patto di sicurezza collettiva (Odkv), una specie di Patto di Varsavia a livello ex sovietico.
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Appoggio a Tokajev giunge anche dall'altra grande vicina, la Cina. Il portavoce del suo ministero degli Esteri ha affermato che Pechino «sostiene tutti gli sforzi per risolvere la situazione e si oppone decisamente alle forze esterne che incitano alla violenza e al caos nella regione». Quale «Paese vicino e partner strategico globale la Cina è disposta a offrire tutto il supporto necessario a superare le difficoltà».
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Xi Jinping ha inoltre aggiunto di rifiutare qualsiasi tentativo di provocare disordini e istigare «rivoluzioni». In Occidente vi è, però, grande preoccupazione per quanto sta accadendo in Kazakistan, Paese fondamentale nell'architettura geopolitica asiatica e detentore del 3% delle riserve di petrolio al mondo.
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La diplomazia tedesca in antitesi rispetto a quanto dichiarato dal presidente Tokajev, ha evidenziato che «la violenza non è mai la risposta appropriata». Ecco perché l'Unione europea è pronta a sostenere la de-escalation. L'offerta dei Ventisette è stata fatta dall'Alto rappresentante Ue Borrell al collega kazako Tileuberdi. «È importante ha ribadito Borrell che siano garantiti i diritti e la sicurezza dei civili». Appelli alla calma sono stati lanciati dall'Onu, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.
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LE OPPOSIZIONI
Le opposizioni kazake rigettano l'etichetta di terroriste appiccicate loro addosso dalla dirigenza kazaka. Come si ricorderà le proteste sono state spontanee e iniziate il 2 gennaio nell'Ovest della repubblica dopo che il governo, poi licenziato dal presidente, aveva ben più che raddoppiato il prezzo del gas gpl, utilizzato dal 90% delle automobili. Dopo due giorni manifestazioni popolari di dissenso si sono registrate in numerose città.
Le richieste economiche sono successivamente diventate politiche in un Paese diretto dalle stesse élite da oltre un trentennio. Il padre della Patria, Nursultan Nazarbayev, ha lasciato il potere nel 2019 al suo delfino Tokajev, che tre giorni fa l'ha sollevato dall'ultimo incarico rimastogli, ossia quello di capo del Consiglio di sicurezza nazionale.
Ieri è stato giallo su dove Nazarbayev e la sua famiglia si trovassero: avrebbe lasciato il Paese con le figlie e le loro famiglie. Sempre ieri, ad Almaty si è continuato a sparare in alcune zone della città. Centinaia di persone sono state arrestate. A Bajkonour, il centro spaziale utilizzato dai russi, sono comparsi per le strade mezzi corazzati di Mosca.
Da Parigi, nel frattempo, l'oligarca in esilio, Mukhtar Abljazov, ha rivendicato la guida della protesta. L'ex banchiere e ministro ha invitato l'Occidente a schierarsi contro la Presidenza del suo Paese. Se ciò non avverrà «il Kazakistan si trasformerà in una Bielorussia e Putin imporrà metodicamente il suo programma, ossia la ricostruzione dell'Unione Sovietica».
Abljazov, tra l'altro leader del movimento Scelta democratica, è marito di Alma Shalabaieva, espulsa nel 2013 dall'Italia insieme alla figlia Alua, e al centro di un lungo caso diplomatico con il Kazakistan.
2 - COSÌ IL PRESIDENTE FILOCINESE SPINGE NAZARBAYEV NELL'OMBRA
Anna Zafesova per “la Stampa”
Come si chiama la capitale del Kazakhstan? Domanda molto più a trabocchetto di quello che sembra, non solo perché in due secoli ha cambiato nome tante volte - Akmola, Zelinograd, Astana - da confondere chiunque, ma perché da ieri la Tv, riaccesa dopo due giorni di black out, ha evitato di menzionarla se non come «capitale dello Stato». Segnale più inquietante e imbarazzante del "Lago dei cigni" che, trasmesso fuori dal palinsesto alla Tv sovietica, stava a significare la morte di un leader, o un golpe.
Dal 2019, la capitale del Paese asiatico porta infatti il nome di Nursultan, "governante luminoso", in onore del suo primo presidente e padre fondatore, Nazarbayev. Un cambio di nome che non era stato gradito da parecchi, simbolo di un culto della personalità di un autocrate che dopo 30 anni di governo si dimetteva dalla presidenza solo per rimanere a sorvegliare il suo delfino Kasym-Zhomart Tokyaev.
Ma soltanto tre anni dopo questo tributo allo Yelbasi, "leader della nazione", Nazarbayev diventa all'improvviso innominabile, e non si sa nemmeno dove si trovi. Visto in pubblico l'ultima volta alla fine di dicembre, a Pietroburgo, al vertice dei leader post sovietici convocato da Vladimir Putin, da allora l'81enne leader ha mantenuto un assordante silenzio, mentre il suo Paese esplodeva in una rivolta sanguinosa.
statua di nazarbayev abbattuta
Voci ad Almaty e Nursultan (che forse non si chiama più così) lo danno per morto, e anzi spiegano che la protesta è stata innescata proprio dalla sua dipartita, tenuta segreta dai clan al potere per spartirsi il bottino. Varie gole profonde l'hanno dato ricoverato in una clinica a Mosca, fuggito in una base militare in Tagikistan, emigrato a Dubai e riparato a Zurigo (città dove la famiglia dell'ex presidente possiede svariati immobili di lusso, così come a Londra e in altre destinazioni prestigiose).
L'unico che dice di avergli parlato, ieri, è Aleksandr Lukashenko, non proprio la fonte più affidabile. Ma se esistono dubbi sulla salute fisica dello Yelbasi, le sue condizioni politiche appaiono pessime. Tre giorni fa il suo delfino Tokayev gli ha strappato la carica di capo dell'apparato di sicurezza della repubblica - che l'astuto Yelbasi si era riservato a vita - per subentrargli, ma da ieri il canale televisivo Khabar lo accusa di fatto di essere un «traditore dello Stato».
Per ironia della sorte, Khabar è stato fondato dalla potente figlia di Nazarbyaev, Dariga, ed era cruciale nella propaganda del regime di suo padre. Ora trasmette le dichiarazioni di un ex consigliere del presidente su una "congiura" ordita dal Comitato per la sicurezza nazionale - il potentissimo erede del Kgb sovietico - contro Tokaev, con tanto di "campi di addestramento di terroristi nelle montagne" di cui l'intelligence avrebbe nascosto l'esistenza.
La sicurezza era appannaggio di Nazarbyaev anche dopo che aveva smesso di essere presidente, e il Comitato era guidato dal suo fedelissimo Karim Massimov e da suo nipote Samat Abish, entrambi licenziati da Tokyayev tre giorni fa e sostituiti dai suoi uomini. I media kazaki ieri hanno annunciato l'arresto di Abish, successivamente smentito, ma la stagione della caccia alla famiglia non solo politica dell'ex presidente appare ormai aperta.
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Uno scenario che spiega tanti interrogativi dei giorni scorsi, in primo luogo quello sul perché Tokayev ha infranto la regola di tutti i dittatori postsovietici di non chiamare in soccorso i russi: non si fidava degli apparati di sicurezza ancora fedeli al suo ex mentore. Si capisce anche perché all'inizio era sembrato andare incontro alla protesta, invece di aprire il fuoco come aveva fatto Nazarbayev: in molte piazze, richieste economiche e sociali erano state affiancate dallo slogan «shal ket», cacciate il vecchio, e lo scontento può essere stato cavalcato come pretesto per disfarsi dell'anziano leader (e dei suoi oligarchi).
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E si capisce perché Xi Jinping ha applaudito a quello che sembra sempre più un golpe di Tokayev, ritenuto molto filocinese rispetto a un Nazarbaev attento ad avere amici a Est come a Ovest. Una neutralità che una Cina sempre più assertiva non vuole più accettare, commenta Aleksandr Baunov di Carnegie Moscow. Trovandosi in singolare sintonia con Putin, che nel frattempo sta sfidando Washington per riavere le sue sfere d'influenza ex sovietiche.
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