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Leonardo Martinelli per "La Stampa"
Se non fosse stata «scoperta» a Cinecittà, forse non sarebbe diventata mai l'attrice che è stata. E se sul set di un film italiano un parrucchiere non avesse avuto l'idea geniale di immaginarla bionda, non sarebbe diventata il mito. Ma i legami di Brigitte Bardot con l'Italia vanno oltre e comprendono due fiammate di passione indimenticabili, con il playboy Gigi Rizzi, a Saint-Tropez, dove BB già abitava, nell'estate 1968 (spensierata, mentre a Parigi altri giovani s' illudevano di rifare il mondo) e una storia, meno conosciuta, con un bel tenebroso, intellettuale (comunista per giunta), Raf Vallone, a Parigi, dieci anni prima.
È azzeccato il titolo del nuovo libro di Mauro Zanon, Brigitte Bardot, un'estate italiana, (edizioni Gog), perché l'amore della star per il nostro Paese si confonde con il sole assoluto di tante estati lontane. Zanon, corrispondente da Parigi per il Foglio, ricostituisce con precisione l'atmosfera tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, prima che l'attrice si relegasse nella Madrague, la sua villa davanti al mare, a Saint-Tropez, dove vive ancora oggi.
Il libro propone anche per la prima volta i bozzetti preparatori di Milo Manara per una serie di acquarelli dedicati a Brigitte e per una statua che oggi la raffigura nel suo villaggio di adozione. Risalgono a pochi anni fa, ma sono ispirati a lei giovane e splendida (il nostro fumettista racconta a Zanon che le mandò una prima versione, prudente e puritana, e fu Brigitte ad autorizzarlo «a insistere maggiormente sull'aspetto erotico»).
Ma ritorniamo alla storia italiana di BB. Inizia da subito. Anne-Marie Mucel, sua madre, era francese ma nata a Milano (il padre vi dirigeva una compagnia di assicurazione) e ci rimase fino a quando, nel 1933, conobbe un facoltoso industriale francese di passaggio, Louis Bardot, e se ne innamorò. Anne-Marie lo raggiunse a Parigi, dove nacque Brigitte, tirata su da una bambinaia fatta venire dalla Lombardia, la dolce Dada. I genitori, scintillante coppia dell'alta borghesia, a casa ci stavano ben poco e la piccola iniziò a parlare in italiano, la lingua dell'adorata Dada, prima che in francese. La ragazza fece studi di danza classica e poi si avvicinò al cinema. Ma a Parigi non la prendevano sul serio.
Per questo il primo marito, il regista Roger Vadim, la consigliò di andare a Roma a tentare la fortuna. Lì nel 1954 girò lungometraggi non indimenticabili, ma che le dettero visibilità. «In Italia mi hanno fatto fare dei film che forse non erano bellissimi - ha raccontato più tardi la Bardot - ma dove sono stata fotografata bene e per i quali è stata fatta una buona pubblicità. Ciò ha permesso alla Francia di rendersi conto che forse potevo fare qualcosa».
A Roma viveva con Ursula Andress, sua amica, in una stanzetta in cima alla scalinata di piazza di Spagna. Nel 1955 girò Mio figlio Nerone, di Steno. BB era Poppea e recitava accanto ad Alberto Sordi e Vittorio De Sica, lì un parrucchiere ebbe l'idea di decolorarla: nacque una bionda unica. Vadim la veniva a trovare e una sera, all'Hostaria dell'Orso, vedendola ballare a piedi nudi su un tavolo, ebbe l'idea di una scena di Et Dieu créa la femme, girato pochi mesi dopo in uno sconosciuto villaggio di pescatori, Saint-Tropez.
Da lì in poi per la Bardot ci sono tante altre estati italiane, come quella del 1961 a Spoleto a girare Vita privata di Louis Malle, con Marcello Mastroianni (lei volle andare in segreto all'alba nel carcere della città umbra per incontrare e abbracciare un giovane condannato per aver ucciso il patrigno che maltrattava la madre), o quella a Capri a girare nella villa di Malaparte alcune delle più belle scene di «Il disprezzo» di Jean-Luc Godard, tratto dall'omonimo romanzo di Moravia. Due, poi, i grandi amori italiani, brevi ma intensi.
Quello con Raf Vallone, che nel 1958 recitava in teatro a Parigi per Peter Brook. Ci provarono tutte a conquistarlo ma solo lei ci riuscì («mi insegnò moltissime cose, compreso il silenzio», confidò BB). Vallone la lasciò per salvare il matrimonio con la donna di tutta una vita, Elena. E poi la storia con Gigi Rizzi, documentata dai rotocalchi: era il 1968, una sfrenata estate a Saint-Tropez fatta di mare, feste e sesso. «Sembravi un extraterrestre di stratosferica bellezza - ha scritto più tardi Gigi, rivolgendosi a Brigitte -. Ma non eri quel personaggio dispotico descritto dai giornali. Eri fragile, malinconica, intelligente, sensibile».
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