DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”
Il dolore, il senso di smarrimento. Ma, soprattutto, la disperazione. Quella che per un padre (e sia chiaro: per una madre è lo stesso) rappresenta lo scoglio più grande. Il non riuscire a vedere tua figlia crescere, perché nel frattempo, da quando è nata, da quando l'hai tenuta per la prima volta in braccio, la vita è stata diversa da come te l'aspettavi. A tratti pure un po' stronza.
La separazione, il divorzio in vista. «Ti lascio questi ricordi», scrive Carlo (il nome è di fantasia, tutto il resto no) sui social qualche giorno fa. Quattro righe indirizzate a lei, alla sua bimba: «Portali con te sempre, nel cuore. Ti amerò per sempre come dal primo giorno. Ti starò vicino anche da lontano». Sembra un campanello d'allarme, questo sfogo: ma chi andrebbe a pensare che Carlo, 44 anni, di professione operaio in un paesino del basso Canavese, in Piemonte, abbia deciso di togliersi la vita? Eppure è quello che ha fatto. I suoi funerali si sono svolti la settimana scorsa, una chiesa gremita, un cordoglio molto sentito.
«Ogni tanto lo diceva, che voleva farla finita», racconta sulle pagine locali di Repubblica chi Carlo lo conosceva bene, «ma allo stesso tempo era pieno di vita e determinato a riavere la sua bambina: pensavamo solo a uno sfogo». Invece, poche ore dopo il suo ultimo compleanno, Carlo si è chiuso nella casa in cui abitava e ha deciso che no, non valeva più la pena continuare così.
I mille problemi quotidiani, c'era anche qualche impiccio al lavoro che non va da un annetto a questa parte. Non solo la questione della figlia. Per questo la procura vuole vederci chiaro, vuole capire cosa l'abbia portato a quel gesto estremo dal quale non si torna indietro. Sono i famigliari e gli amici che ipotizzano sia stato per via di quella separazione, che lui pare vivesse come un macigno. Ma il punto è che, purtroppo, non il suo caso non sarebbe il primo, qualora venisse confermato.
«Sono tanti i padri che ci contattano e che chiedono aiuto», conferma Tiziana Franchi, la presidente nazionale dell'Associazione padri separati (padri.it), «noi siamo una piccola attività e li indirizziamo tutti da uno psicologo e poi da un avvocato civilista. Non è facile». È che fai presto a dire separazione. Una convivenza finita, un amore al capolinea. Però dopo, quando ti ritrovi da solo, magari fuori dalla casa in cui hai cresciuto i tuoi figli, cambia tutto. Ci sono le difficoltà economiche, acuite in questo periodo in cui il ceto medio è stato spazzato via dai rincari energetici.
C'è il senso di colpa, c'è che «se hai una famiglia che ti sostiene è un conto, altrimenti ti senti abbandonato». Numeri certi non esistono per due ragioni: la prima è che un censimento è impossibile da fare, la seconda è che possiamo analizzare solo i casi che, in qualche modo, vengono alla luce. Un rapporto di qualche anno fa di Eures, il Centro di ricerche economiche e sociali, sostiene che nel 2009 ben 253 uomini separati e divorziati si siano suicidati e che abbiano fatto lo stesso 64 donne.
Statisticamente, e in termini generali, i maschi ricorrono al suicidio molto più delle femmine: però, qui, i dati da mettere sul piatto sono anche altri. Meno dell'1% dei figli di genitori separati sta con il papà, gli affidamenti congiunti riguardano la stragrande maggioranza dei divorzi (l'85,51%) e il restante 12,26% viene affidato alla mamma.
«Circa l'80% delle richieste di separazione viene dalle mogli», continua Franchi, «il problema esiste. Non va banalizzato, ovviamente ogni situazione è a se stante, ma servirebbe un senso di responsabilità maggiore». Esiste anche una sindrome, si chiama "Pas" e sta per sindrome da alienazione parentale.
L'ha scoperta Richard Gadner, che è uno psichiatra americano e, anche se non è riconosciuta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, apre la strada a un «problema molto serio. Non lo si ricorda spesso, ma questi genitori devono magari pagare un assegno di mantenimento e lo Stato non garantisce il gratuito patrocinio per chi ha un lavoro, anche se modesto, o semplicemente una macchina, cioè una fonte di reddito». Che Carlo si sia ucciso per questo oppure no ce lo diranno i giudici di Torino: ma il fenomeno, sfortunatamente, rimane.
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