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DAGOREPORT - DA IERI SERA, CON LA VITTORIA IN GERMANIA DELL’ANTI-TRUMPIANO MERZ E IL CONTENIMENTO…
Una donna ha pedinato la figlia, «raggiungendola nei luoghi» da lei frequentati (scuola, casa, luoghi di svago), seguendola «nei suoi spostamenti», e «cercando ogni volta di avvicinarla e di prendere contatti con lei».
Tutto ciò ignorando completamente il «divieto» a lei imposto dal Tribunale. Allo stesso tempo, ha anche tempestato di telefonate l’«abitazione» della ragazza. E' decisiva, però, è la constatazione delle ripercussioni sulla minore, così preoccupata per la «propria incolumità» da modificare le «proprie abitudini di vita».
Ciò consente ai giudici di merito di ritenere la donna colpevole di stalking e a condannarla a diciotto mesi di reclusione. Per il legale della madre, però, non vi è mai stata alcuna «volontà di creare turbamento nella minore» né di «costringerla a modificare le proprie abitudini di vita». Manca, quindi, secondo l’ottica difensiva, l’«elemento psicologico» per considerare la donna davvero responsabile di stalking.
L'obiezione, però, viene ritenuta non legittima dai Giudici della Cassazione (sentenza 42566/15), i quali ritengono evidente il «dolo generico» attribuibile alla donna. Quest’ultima era pienamente cosciente della «idoneità delle condotte ossessive» poste in essere alla «produzione» di effetti negativi sulla figlia, effetti «destabilizzanti sul piano della serenità, dell’equilibrio psichico e delle ordinarie abitudini di vita».
Non discutibile, quindi, la consapevolezza della donna. Altrettanto chiari i disagi vissuti dalla ragazza, testimoniati da uno «stato di ansia e di apprensione» che l’ha spinta a un «cambiamento delle sue abitudini di vita». Tutto ciò comporta la conferma della condanna e della pena, fissata, come detto, in diciotto mesi di reclusione.
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