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Alberto Simoni per “la Stampa”
Lloyd Austin e Sergei Shoigu si sono sentiti ieri al telefono. È la seconda volta che i ministri della Difesa statunitense e russo si parlano dopo il colloquio del 13 maggio scorso nel quale il capo del Pentagono aveva chiesto all'omologo un cessate il fuoco. I dettagli della telefonata sono scarni. Ma da Mosca, oltre a dire che si è parlato di «sicurezza internazionale e segnatamente dell'Ucraina», è giunta la richiesta di «chiarezza sulle esercitazioni Nato».
Operazioni di routine e programmate ben prima dell'invasione russa, ma che vedono coinvolti anche i B52 americani. Il Pentagono è ancora più misurato. In una nota si è evidenziato che il cuore della telefonata è legato alla necessità di tenere aperte le linee di comunicazione per evitare fraintendimenti e incidenti. Tesi confermata anche da Mosca.
La telefonata arriva in un momento particolare, dopo che poche settimane fa Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, aveva recapitato «pubblicamente e in privato» un messaggio al Cremlino sulle «catastrofiche conseguenze» in caso di ricorso al nucleare.
Che i canali con Mosca sono attivi lo ha comunque confermato anche il segretario di Stato Antony Blinken: «Ogni volta che dobbiamo dire qualcosa ai russi, lo facciamo», ha spiegato, sottolineando che gli Usa considerano ogni «strumento possibile per far avanzare la diplomazia se vedono degli spiragli», ma che al momento Putin «sta andando nella direzione opposta» e che «non ci sono prove che la Russia sia interessata a porre fine all'aggressione».
Vladimir Putin con Sergei Shoigu
Il colloquio fra i due titolari delle Difesa è avvenuto all'indomani della rivelazione americana della presenza di esperti e militari iraniani in Crimea e a iniziare la chiamata è stato il capo del Pentagono.
Secondo gli Usa Teheran sta addestrando i piloti russi all'uso di droni dopo alcuni fiaschi compiuti dall'aviazione russa in precedenza. E benché Washington ritenga che a manovrare i droni che hanno colpito Kiev e altre città 7 giorni fa, siano state mani russi, la tecnologia a disposizione è quella di Teheran.
L'America teme che il conflitto possa estendersi e coinvolgere altri attori. «L'Iran esporta terrorismo non solo in Medio Oriente, ma anche in Ucraina», aveva detto poche ore prima della telefonata Austin-Shoigu, il generale Pat Ryder portavoce del Pentagono rimarcando che il ricorso russo ai droni non cambierà il corso del conflitto, ma che l'obiettivo degli attacchi con velivoli senza pilota (Uav) è «quello di generare paura».
i resti di un drone kamikaze iraniano dopo l attaco a kiev
Poco prima di sentire l'omologo a Mosca, il capo del Pentagono ha avuto un confronto con il ministro ucraino Oleksii Reznikov al quale ha «ribadito l'incondizionato e solido impegno americano» a fianco di Kiev. L'altro fronte che a Washington monitorano con attenzione è quello bielorusso.
La Casa Bianca ritiene che Minsk non abbia un ruolo attivo nella guerra in corso e nemmeno che stia garantendo a Mosca le basi di lancio dei droni; ma il regime di Lukashenko resta schiacciato sulle posizioni russe. Ai confini con l'Ucraina, infatti, sono stati schierati migliaia di soldati russi con l'obiettivo - è la valutazione della Difesa Usa - di costringere gli ucraini a rafforzare le difese riducendo quindi il potenziale in altre zone - l'Est e il Sud - dove la controffensiva avviata da settembre prosegue.
Da parte sua Lukashenko ha negato che il suo Paese si stia preparando alla guerra. «Nessuna guerra oggi, non ne abbiamo bisogno», ha detto all'agenzia statale Belta. Ma nelle stanze della diplomazia nessuno scorda che pochi giorni prima dell'invasione del 24 febbraio, proprio dalla Bielorussia il dittatore aveva rilasciato una simile dichiarazione.
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