AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Giuseppe Salvaggiulo per "la Stampa"
«No comment. Nel processo di Brescia sarò testimone, lì dirò la verità», risponde David Ermini, a proposito dell'interrogatorio di Davigo, imputato per l'illecita divulgazione degli atti sulla loggia Ungheria. Ma la verità del vicepresidente del Csm emerge dal verbale reso durante le indagini. I fatti risalgono al maggio 2020 quando i loro rapporti erano ottimi, tanto che per due volte Davigo invitò Ermini e consorte per un weekend a Merano («Pagato alla romana»). Si interromperanno a ottobre, dopo il voto di Ermini per la decadenza di Davigo dal Csm.
PIERCAMILLO DAVIGO E SEBASTIANO ARDITA
All'inizio le versioni cristallizzate nei verbali coincidono: «Il 4 maggio 2020 Davigo mi chiese un colloquio riservato tanto che mi invitò ad andare giù in cortile, lasciando i telefoni in stanza perché la questione era molto delicata». Anche altri consiglieri riferiscono di cautele anti intercettazioni di Davigo in quel periodo. In cortile Davigo rivelò l'indagine «che però andava a rilento», suggerendo di informare il presidente della Repubblica. Cosa che Ermini fece la sera stessa.
«Parlai personalmente al presidente di varie questioni e lo informai anche di questa. Mi ascoltò senza fare commenti». Davigo ed Ermini si rividero qualche giorno dopo. Da qui in poi le versioni divergono. Davigo sostiene che gli consegnò i verbali per soddisfarne la curiosità sui nomi citati. Ermini obietta che «i nomi me li fece lui nel primo colloquio, anche perché altrimenti non avrebbe avuto senso riferire genericamente al Quirinale».
Quanto alla consegna, dice ai pm: «Il giorno dopo o qualche giorno dopo la segretaria mi avvisò che era arrivato Davigo per parlarmi. Lo feci entrare, aveva una cartellina arancione con dentro fogli di carta. Mi disse: "Ti ho portato le carte perché vorrei che leggessi le dichiarazioni di Amara". Io ero in difficoltà e non avevo voglia di leggere carte consegnate in modo irricevibile e inutilizzabile».
Ermini racconta il disagio «per il problema di cosa farne e per l'insistenza di Davigo perché le leggessi. Sfogliava i verbali davanti a me e ripeteva quanto detto in cortile». Nome dopo nome, si arrivò a quello di Sebastiano Ardita, membro del Csm con cui Davigo aveva burrascosamente rotto i rapporti. «Mi ribadì che, secondo le dichiarazioni dell'avvocato Amara, apparteneva a questa loggia a cui si era affiliato già ai tempi di Tinebra (magistrato morto nel 2017, ndr), quando era in Sicilia».
sebastiano ardita al csm con di matteo e davigo
Ermini ricorda che alla sua obiezione («Non ci credo»), Davigo replicò: «Guarda che esistono anche i massoni in sonno». Anche altri consiglieri hanno riferito ai pm che Davigo sembrava attribuire un primo vaglio di credibilità alle rivelazioni sulla loggia Ungheria, a dispetto di obiezioni anche specifiche come quella del procuratore generale Giovanni Salvi, che mette a verbale: «Gli risposi che mi sembrava molto improbabile, ben conoscendo le frizioni che si erano determinate tra Tinebra e Ardita».
Al contrario, Davigo era scettico sull'attendibilità delle dichiarazioni di Amara a proposito dell'allora premier, almeno stando a un dettaglio ricostruito da Ermini successivamente alla sua testimonianza ai pm. «Quando sfogliando i verbali arrivò al nome di Conte, io gli dissi "C'è anche lui?". E Davigo rispose: "No, lui l'hanno messo dentro, ma non c'entra niente". Rimasi perplesso». La tesi della Procura è che Davigo violò il segreto istruttorio con sette consiglieri del Csm, due segretarie e il deputato Morra per isolare Ardita, parte civile nel processo perché danneggiato «dalla massiva e infamante divulgazione».
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