DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell’articolo di Federico Cella per il “Corriere della Sera”
Un ex dipendente di OpenAI (l’azienda di Sam Altman che ha prodotto ChatGpt) è stato trovato morto poche settimane fa nel suo appartamento a San Francisco. Il corpo di Suchir Balaji, un ricercatore di 26 anni che recentemente si era espresso pubblicamente contro le violazioni del copyright da parte dell’Ai generativa del marchio, è stato rinvenuto il 26 novembre (ma la notizia è stata diffusa dalla stampa americana solo negli ultimi giorni).
Gli investigatori hanno stabilito che il giovane si era suicidato. Balaji a fine ottobre aveva rilasciato un’intervista al New York Times in cui accusava OpenAI, dove aveva lavorato per quasi 4 anni, di violare le leggi sul diritto d’autore, utilizzando contenuti protetti per addestrare le proprie piattaforme. Ad agosto aveva lasciato l’azienda.
Sul suo account X (che Balaji aveva aperto solo lo scorso giugno, forse proprio in vista della sua uscita in pubblico) aveva ripercorso l’intervista con il quotidiano americano, ricordando come avesse lavorato per un anno e mezzo su ChatGpt e che, dopo essersi interessato alla provenienza dei dati con cui la piattaforma veniva addestrata, aveva concluso che questa «poteva creare sostituti che competono con i dati con cui veniva educata». Copie che possono far concorrenza agli originali, per capirci.
Si tratta delle stesse motivazioni per cui sia OpenAI, sia il suo principale investitore Microsoft, stanno affrontando diverse cause legali da parte di etichette discografiche, artisti, programmatori ed editori, tra cui lo stesso New York Times . Suchir Balaji aveva anche un blog, che sembra essere stato aperto proprio con l’intenzione di uscire allo scoperto.
Nell’unico post pubblicato faceva il punto su come l’Ai generativa deve essere strutturata per poter parlare di «uso corretto» dei dati, e in sostanza evitare (e questa era l’accusa più grave al mondo delle intelligenze artificiali generative) che tutta Internet, i contenuti e servizi, si popolasse di copie e di informazioni «auto-generate» dalla Ai.
La necessità di proteggere i dipendenti di aziende che lavorano sulle intelligenze artificiali, proprio perché voci dissonanti potessero emergere, era stata espressa già lo scorso giugno da un gruppo di professionisti che lavoravano per Google Deep Mind e OpenAI. […]
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