alessandro nivola soprano

“ERO FRUSTRATO, PENSAVO DI CAMBIARE IL MIO COGNOME” – IL RISCATTO DI ALESSANDRO NIVOLA, ATTORE 46ENNE, NIPOTE DELL’ARTISTA COSTANTINO NIVOLA, CHE INTERPRETERÀ DICKIE MOLTISANTI NEL FILM “I MOLTI SANTI DEL NEW JERSEY. I SOPRANO: LE ORIGINI”: “NON VEDEVO LA SERIE. CONSIDERAVO FARE L'ATTORE IN TV MENO PRESTIGIOSO RISPETTO AL CINEMA. L’ITALIANO? L’HO IMPARATO DA SOLO. LA SARDEGNA? QUANDO ERO PICCOLO I MIEI AVEVANO PAURA DEI RAPIMENTI” - LA COTTA PER HELEN MIRREN SUL SET E... -  VIDEO

Paolo Jacobbi per “Il Venerdì - la Repubblica”

 

alessandro nivola

Forse era destino che prima o poi la carriera dell'attore Alessandro Nivola (pronuncia Nivòla, alla sarda) si sarebbe incrociata con le vicende della famiglia mafiosa più celebre della tivù: i Soprano. Anni fa, guardando una puntata della serie, una puntata tutta ambientata a Napoli, il fratello di Alessandro si accorse che un'intera scena era girata proprio di fronte a una delle opere del nonno, Costantino Nivola, artista, scultore, art director, amico di Le Corbusier e di Jackson Pollock, nato in Sardegna e diventato famoso a New York. Adesso il nipote Alessandro è il protagonista de I molti santi del New Jersey. I Soprano: le origini. 

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È un film per il cinema, uscirà negli Stati Uniti il 1° ottobre e il 4  novembre in Italia. Lo ha scritto e prodotto David Chase, il padre dei Soprano andati in onda dal 1999 per sei premiatissime stagioni. La serie ha avuto 111 nomination agli Emmy e ne ha vinti 21. Quattordici anni dopo la messa in onda dell'ultimo episodio resta un classico, scintilla del rinascimento televisivo degli anni Duemila e, non a caso, durante la pandemia è anche stata riscoperta dai vecchi fan o scoperta da chi non l'aveva vista a suo tempo. 

i soprano

 

Quanto ai Molti Santi del New Jersey, la regia è di Alan Taylor, uno di famiglia, si può dire, perché aveva diretto diversi episodi della serie. Nivola, 46 anni, è invece una "new entry". Attore di lungo corso, lo abbiamo visto in decine di film, da Face/Off a Jurassic Park III, da American Hustle a The Neon Demon, raramente in ruoli di primissimo piano. Qui è finalmente protagonista, nei panni di Dickie Moltisanti, zio e mentore di Tony che è invece interpretato da Michael Gandolfini, figlio del compianto James. 

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Nella serie originale, Dickie non c'è, ma se ne parla spesso: è la figura più influente nella formazione di Tony. Il film va alle origini del "fato" della famiglia Soprano, quel fato a cui è impossibile sfuggire, quel ciclo continuo di violenza compiuta e subita che non si può spezzare. Sullo sfondo, le tensioni razziali tra italoamericani e afroamericani a fine anni Sessanta e primi Settanta nel New Jersey. 

 

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Alessandro Nivola, che rilascia l'intervista in ottimo italiano, giustamente scalpita. Ha dovuto aspettare più del dovuto, causa Covid più altri impicci. La lavorazione del film era finita a giugno 2019, ma poi Chase ha deciso di aggiungere cinque nuove scene. Il 13 marzo 2020, Alessandro era pronto, nel suo camerino, truccato e vestito come Dickie Moltisanti, completamente immerso di nuovo nel personaggio. Bussano alla porta, ma non per dirgli che è il momento del ciak. Gli dicono che il film è sospeso. Hanno ripreso in ottobre e, adesso, finalmente ci siamo. 

 

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Il personaggio della vita?

"Oh, sì. Dopo anni di lavoro, di tanti film non sempre riusciti, finalmente un personaggio strepitoso, in cui posso mostrare tutto quello di cui sono capace".

Un personaggio di italo-americano, per di più.

"Per anni, il mio nome è stato un impedimento. Per mille motivi. Intanto nessuno lo sa pronunciare. Negli Stati Uniti, Alessandro si pensa sia greco o spagnolo, non italiano. In più, nel '98, quando ero agli inizi, sono stato notato in un film inglese, I Want You, regia di Michael Winterbottom. Bel film, ambientato nella costa sud dell'Inghilterra con Rachel Weisz. Io interpretavo un pescatore con l'accento del luogo. Con il mio nome, più l'accento inglese, gli americani dicevano al mio agente che non sapevano come collocarmi.  Ci sono stati dei momenti di grande frustrazione. Certi giorni pensavo di cambiarlo, prendermi un nome d'arte più comprensibile". 

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Perché non lo ha fatto?

"Perché sono troppo orgoglioso delle mie origini, della storia della mia famiglia, del nonno artista che sposò un'ebrea e lasciò l'Europa in fuga dal nazismo. E perché sono molto testardo. Così il nome me lo sono tenuto e al diavolo tutti quanti. Tutto sommato è andata bene così: è bastato aspettare l'occasione giusta ed è arrivata. Chase voleva un attore davvero di origine italiana, per fortuna".

 

Ha usato un po' i ricordi di famiglia per interpretare il film?

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"Sì e no. Un certo modo di gesticolare, di camminare di mio padre, di mio nonno, quello sì. Ma l'esperienza dei miei in America non ha molto a che vedere con il solito cliché degli immigrati italo-americani. Il loro era un milieu completamente diverso. Erano artisti, non ricchi, ma colti e bohémien. Una storia abbastanza simile a quella della famiglia di Robert De Niro, il cui padre, pittore, infatti, era amico di mio nonno. Vivevano nel Greenwich Village, erano un mondo a parte".

 

Lei dove vive?

"Da quindici anni vivo a Brooklyn: ci stanno anche mia mamma e mio fratello, che è un artista. Abitiamo vicini. Sono stato diversi anni a Los Angeles, prima, perché mi pareva il posto giusto per costruire una carriera nel cinema. Ma poi con mia moglie (l'attrice e regista inglese Emily Mortimer, ndr) e i nostri due figli ci siamo spostati. Quando andiamo a trovare i suoi parenti in Inghilterra, il volo da New York è molto più breve e non so se lei abbia idea di quanto casino possano fare due ragazzini in molte ore di aereo".

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Chi le ha insegnato l'italiano?

"Nessuno! Ho fatto da me. Mio padre parlava italiano solo con i suoi genitori, mai con i figli. E quando lo parlava davanti a noi, sussurrava: di solito per dire cose che non voleva che noi sentissimo. E poi lui era nato a New York, voleva essere un vero americano, aveva imparato l'inglese a scuola e, a un certo punto, addirittura si cambiò il nome: da Pietro a Pete. Solo più tardi nella vita, ha riscoperto le sue radici".

 

E lei quando le ha scoperte?

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"Noi abbiamo ancora tanti parenti vicino a Nuoro. Quando ero molto piccolo non ci andavamo mai, erano gli anni Settanta e i miei avevano molta paura dei rapimenti. Mio nonno, lo scultore, era famoso e questo bastava a far temere che fossimo nel mirino dei banditi. Solo più tardi, quando ero già adolescente, sono cominciate le mie estati in Sardegna. I miei cugini non parlavano una parola d'inglese, io niente italiano. Mi comprai un libro di grammatica e mi misi a studiare così, da solo. Per anni, ho avuto un'identità un po' confusa.

 

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D'estate non ero abbastanza italiano, negli Stati Uniti non mi sentivo abbastanza americano. Non ho mai seguito il baseball ma adoro il calcio e Paolo Rossi era il mio eroe. Quando avevo delle esitazioni, quando mi sentivo un po' perduto, a metà tra due Paesi e due culture, ne parlavo con mia nonna, ebrea tedesca. Per lei, che era scappata dalle mostruosità della guerra, il concetto di Patria non era molto positivo. Si definiva cittadina dal mondo".

 

Negli anni dei Soprano in televisione, li guardava?

"Confesso che, ai tempi, guardavo molto poco la televisione, giusto lo sport e i notiziari. Appartengo a una generazione cresciuta con molti pregiudizi nei confronti della tv. Consideravamo fare l'attore in televisione molto meno prestigioso rispetto al cinema o al teatro". 

 

Oggi chiaramente le cose sono cambiate.

"Moltissimo. E un po' è anche merito dei Soprano, una serie pioniera, che ha aperto la strada a un nuovo tipo di televisione. È stata una rivoluzione culturale".

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Lei, che ha studiato a Yale e ha una formazione teatrale, ha debuttato a Broadway accanto a Helen Mirren. 

"Sì, eravamo insieme in un allestimento di Un mese in campagna di Turgenev. Io ero appena uscito dall'Università, lei era già Helen Mirren. Mi sono innamorato pazzamente. Tutte le sere, durante il quarto d'ora di intervallo tra il primo e il secondo atto, mi piazzavo nelle vicinanze del suo camerino per cercare di attirare la sua attenzione. Lei leggeva il giornale e non mi ha mai filato". 

 

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L'ha incontrata ancora, dopo quell'esordio?

"Sì, abbiamo addirittura girato un film insieme, non un grande film, purtroppo, dove lei interpretava mia madre. Ogni tanto capita di vedersi a eventi o premiazioni. Una volta, ho anche raccontato in pubblico l'aneddoto della mia cotta per lei, consegnandole un premio. Ci siamo fatti una risata". 

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