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Estratto dell'articolo di Vittorio Lingiardi per "La Repubblica"
«Come sta?». «Come una che non ne vale la pena». Francesca (mi autorizza a parlarne) è stata ghostata. Anziché pensare «che problemi ha sto’ tipo che prima mi corteggia e poi scompare», pensa «cosa non va in me?».
Il ghosting, termine coniato una decina di anni fa, è la scomparsa di una persona da ogni tipo di comunicazione, di solito senza spiegazioni o preavvisi. Un’espressione che ha attecchito perché cattura qualcosa dello spirito del tempo: parlare di sé e spiegarsi è troppo impegnativo. Di solito avviene nelle prime fasi di una frequentazione romantica, ma il ghosting può avvenire anche in rapporti di lunga durata, nelle amicizie, nelle relazioni familiari o lavorative.
Svanire come un fantasma dalla vita dell’altro lascia un sapore di confusione nello smarrimento emotivo. Nel caso di Francesca, il ghosting ha preso forma di silenziose spunte blu su WhatsApp. Poi, nemmeno più quelle. «Eppure da una settimana ci sentivamo tutti i giorni, eravamo usciti a cena qualche volta».
Del ghosting è psicologicamente destabilizzante l’ambiguità: non sapremo mai cosa è successo. Se hai un’attitudine ossessiva, Francesca ce l’ha, inizi a ruminarci sopra. Se il tuo narcisismo è fragile non ti rassegni, puoi diventare un implorante stalker del tuo ghoster. Se ti capita di essere ghostato più di una volta, inizi a perdere fiducia negli altri, ma soprattutto in te stesso.
Il ghosting ha varie parentele: per esempio, il fading , che è svanire gradualmente con risposte monosillabiche o emoji per troncare i discorsi; l’orbiting , che è scomparire per poi riapparire nelle comunicazioni online con modalità più sottili, leggermente manipolatorie, per esempio un improvviso like dopo che da settimane era calato il silenzio; il caspering (dal simpatico fantasmino animato), che sarebbe un modo più gentile di ghostare: veloce spiegazione e saluto. Tipo: «Grazie per il tempo passato insieme e in bocca al lupo per tutto!». Ma si può fare ritorno all’improvviso, come se niente fosse, anche dopo mesi di silenzio: è lo zombieing. [...]
Il ghoster è eccitato dalla seduzione e dalla gratificazione a basso costo procurata dalla conquista digitale. Poi, quando la relazione prende forma, quando diventa fisica, e dunque presto scomoda, batte in ritirata. In alcuni casi con un certo disagio.
Non tutti i ghoster sono filibustieri, a volte sono solo gravi incompetenti relazionali. I ghoster peggiori sono ovviamente quelli poco empatici e poco mentalizzanti. Non sentono come stai, non pensano a come stai. Scomparire può essere il comportamento che consegue alla fuga nel silenzio per l’imbarazzo di ferire l’altro, la convinzione sbagliata che essere ignorati sia meglio di essere rifiutati.
Lo psicologo pragmatico della comunicazione Paul Watzlawick avrebbe avuto molto da dire, collocando il ghosting nel regno della disconferma, una modalità comunicativa che, con il suo implicito messaggio («non esisti»), può mettere in crisi il senso del sé. È quello che succede a Joel in Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry, quando, dopo una furiosa litigata, la sua amata e sofferente Clementine decide di cancellarlo, letteralmente, dalla memoria, facendo richiesta alla clinica Lacuna del Dottor Mierzwiak, specializzato in ablazioni mnestiche. [...]
Un mio studente mi racconta che essere ghoster può significare anche diventare fantasmi di sé stessi. Il mutismo digitale diventa una gabbia invisibile che protegge dalla messa a nudo del sé fragile quando una relazione inizia a diventare vera. Il ghoster intelligente lo sa, e spesso se ne vergogna. A volte vorrebbe apparire con una spiegazione, ma la giostra dell’imbarazzo ha già iniziato a girare velocemente: non si può più scendere.
[...] Il ghosting apre la porta a riflessioni sull’evitamento dei conflitti, sugli stili di attaccamento, sul modo in cui la tecnologia finisce per costruire, a nostra insaputa, la forma delle relazioni personali. Il ghoster si gode la libertà di non conoscere croci e delizie della continuità. [...]
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