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Adriana Bazzi per il "Corriere della Sera"
francesco le foche immunologo 2
Le ultime notizie dal fronte Covid ci dicono che, in Italia, le persone ricoverate negli ospedali con infezioni gravi da Coronavirus sono nella stragrande maggioranza non vaccinate e che in Gran Bretagna il numero dei contagi è crollato.
«Probabilmente questo crollo è la conseguenza della vaccinazione di massa - commenta Francesco Le Foche, immunologo del Policlinico Umberto I di Roma -. Siamo oggi di fronte a due pandemie: una è quella dei non vaccinati che, appunto, possono andare incontro a una malattia severa; l'altra riguarda i vaccinati che sono protetti dalle forme gravi, ma che, in una piccola percentuale di casi, possono contagiarsi, eventualmente sviluppare qualche lieve sintomo, e possono trasmettere il virus ad altri.
Quindi la vaccinazione funziona al cento per cento nel mettere al riparo dalle forme gravi ma non dalla possibilità di contagio. È così?
«Sì, e questo costituisce una ragione in più perché tutti si vaccinino: il vaccino non solo mette al riparo il singolo dalla malattia grave, ma riduce la circolazione del virus nella popolazione e, quindi, l'emergere delle varianti. Abbiamo visto come la variante Delta abbia complicato la situazione dal momento che si trasmette più velocemente e dà origine a cariche virali più alte».
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Ancora oggi, però, ci sono resistenze alla vaccinazione. Perché?
«Io vedo nei giovani una propensione al vaccino e non solo perché, poi, possono andare in discoteca, ma perché ne hanno capito l'importanza. Gli ultrasessantenni, invece sono restii, probabilmente per ragioni culturali: sono meno sensibilizzati».
Come si possono convincere?
«Un ruolo fondamentale dovrebbe averlo il medico di medicina generale. Occorre spiegare che i vaccini sono sicuri e rappresentano un grande risultato della ricerca scientifica. Le tecniche con cui sono prodotti sono studiate da anni, anche per sviluppare farmaci nel campo dell'oncologia».
Una precisazione tecnica. Dal momento che la proteina spike del virus è quella che gli permette di entrare nelle cellule umane e di danneggiarle, è possibile che la stessa proteina, prodotta attraverso il vaccino, possa provocare effetti collaterali?
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«No. La proteina spike del vaccino viene subito "captata" dalle cellule del sistema immunitario e, successivamente, stimola la produzione di anticorpi e l'attivazione di altre cellule della difesa immunitaria».
Ecco, gli anticorpi. Ha senso dosarli nel sangue?
«No, non è utile perché, da soli, non danno la misura dell'immunità verso il Coronavirus».
Ancora sui vaccini. Che cosa pensa del mix, cioè della possibilità di assumere una seconda dose diversa dalla prima?
«Una seconda dose diversa aumenta di molto l'efficacia ed è garanzia di una migliore immunizzazione».
Ci sarà bisogno di una terza dose?
«Verosimilmente sì per le persone che assumono farmaci immunosoppressivi (che deprimono, cioè, il sistema immunitario, ndr ), per i trapiantati e per persone con patologie particolari (come malattie autoimmuni o patologie infiammatorie croniche) in cui la risposta al vaccino può essere ridotta».
Quali sono le previsioni per l'autunno?
«Se vaccineremo almeno l'80-85 per cento della popolazione, possiamo pensare di ritornare a una quasi normalità. Oltre ai vaccini dovremo pensare anche a utilizzare bene gli anticorpi monoclonali, soprattutto nelle persone fragili, non vaccinate o anche vaccinate, con altre patologie e quindi candidate a malattia severa, quando si infettano. Qui è centrale il ruolo del medico di medicina generale che deve cogliere questa opportunità».
Ieri l'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco, ha autorizzato l'uso del vaccino Moderna (che si aggiunge al Pfizer) nei ragazzi dai 12 ai 17 anni. Cosa pensa della vaccinazione a queste età?
«Spero che si possa partire anche dai sei anni. La vaccinazione è importante per portare i ragazzi a scuola in sicurezza. E poi perché anche loro possono manifestare una malattia severa e rappresentare un serbatoio di contagio per i nonni. Dobbiamo mettere in campo una vaccinazione planetaria».
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